"Cerco di non pensarci mai, ma spesso ho l’impulso di chiedermi perché Jamal è stato ucciso e credo il motivo possa essere solo il fatto che la sua voce era diventata troppo forte e per qualcuno era un disturbo".
Hatice Cengiz ha uno sguardo stanco e talvolta triste ma sul suo volto non c’è traccia di rassegnazione. Da un anno chiede venga fatta giustizia per l’omicidio del suo fidanzato, il giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso dopo essere stato torturato il 2 ottobre dell’anno scorso al Consolato dell’Arabia Saudita di Istanbul.
Hatice Cengiz
Trentasettenne di Bursa, laureata a Istanbul, ricercatrice universitaria, un anno fa Hatice Cengiz ha aspettato invano e per ore Jamal Khashoggi fuori dal consolato Saudita di Istanbul. Il giornalista era entrato qualche ora prima nell’edificio diplomatico per ritirare i documenti necessari a sposarla. Si erano conosciuti a Istanbul sei mesi prima ad una conferenza sulle relazioni tra la Turchia e il mondo arabo ed era stato amore a prima vista. Tutto era pronto per le nozze, anche la nuova casa dove sarebbero andati a vivere.
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“Jamal non sospettava di nulla quel giorno prima di recarsi al consolato saudita”, lo dice con sicurezza Hatice Cengiz, incontrata in un hotel nel centro di Istanbul dove è reduce da una giornata fitta di impegni per preparare un evento commemorativo di Khashoggi in programma davanti al consolato Saudita ad un anno dalla scomparsa del giornalista. È appena tornata in Turchia dopo un viaggio negli Stati Uniti in cui ha parlato di Jamal Khashoggi durante un incontro organizzato all’ONU insieme a Agnes Callamard, “è lei la persona che più mi è stata vicina in questo anno difficile”, dice Hatice Cengiz in riferimento alla relatrice delle Nazioni Uniti per le esecuzioni extragiudiziali che è incaricata a seguire il caso.
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“Ma durante quest’anno ho anche conosciuto purtroppo un mondo pieno di ipocrisia tra quelli che dovrebbero battersi per i diritti umani, la democrazia, la libertà di espressione; ho scoperto che molti lo fanno solo se possono ottenere qualcosa in cambio a favore dei loro interessi personali o economici. In un anno non c’è stata nessuna svolta sul caso di Jamal Khashoggi, dal punto di vista della giustizia non è stata presa alcuna decisione e non c’è stata alcuna dichiarazione rilevante da parte del mondo politico o istituzioni. Gli unici a mantenere viva la vicenda sono i media grazie a tutto quello che è stato scritto su di lui. I mezzi di comunicazione hanno fatto un ottimo lavoro, non posso dire la stessa cosa per quanto riguarda il mondo politico, con l’eccezione del governo turco e del presidente Erdogan che mi sono stati vicini fin da subito".
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Parte di un’importante e influente famiglia saudita, Jamal Khashoggi era uno nei giornalisti più noti nel suo paese ma nel 2017 aveva lasciato l’Arabia Saudita per trasferirsi a Washington. Da qualche mese le autorità saudite gli avevano proibito di partecipare a trasmissioni televisive o di scrivere editoriali, anche in seguito all’arresto di alcuni dissidenti, Khashoggi sentiva di non avere più opportunità di esprimersi liberamente, almeno nel suo paese. Anche per questo motivo dopo il trasferimento negli Stati Uniti inizia a collaborare con il Washington Post per cui scrive editoriali che criticano il ruolo del principe ereditario Mohammed Bin Salman.
Mohammed Bin Salman
“Jamal Khashoggi era diventato una voce molto importante per gli oppressi in Arabia Saudita", afferma Hatice Cengiz a proposito dell’impiego di Khashoggi con il Washington Post che pubblicava anche traduzioni in arabo dei suoi editoriali critici. “Con il passare del tempo questo suo ruolo cresceva e chiaramente quello di cui parlava è stato percepito da qualcuno come un disturbo. Questo è evidente anche se pensiamo al modo in cui è stato ucciso, chiaramente un omicidio premeditato e perpetrato da persone malate, perché non ci può essere una spiegazione logica e razionale a quella barbarie. Più penso a perché è stato ucciso e più mi convinco che il motivo della sua uccisione sia relativo a come la sua voce era diventata troppo forte e soprattutto scomoda per alcuni. Ma Jamal era semplicemente una persona che parlava dell’Arabia Saudita come di un paese con un grande potenziale non pienamente sfruttato. Chiedeva soprattutto un grande cambiamento nel suo paese e proponeva sinceramente quello che a lui sembrava il modo migliore per farlo. Certamente, qualche volta aveva anche criticato la situazione politica del suo paese ma è spesso stato frainteso. Questo è evidente se si leggono i suoi articoli, se si parla con le persone che lo conoscevano meglio”.