“Tante persone si stanno cibando di animali trovati morti. Uccelli, conigli e topi. Perché non si trova il pane. Non si trova nulla”. La testimonianza di un’attivista per i bambini arriva direttamente dall’interno della Striscia di Gaza. Raccolta al telefono, perché i giornalisti stranieri non possono accedere al territorio devastato dalle bombe isrealiane. È il solo modo per capire cosa sta accadendo a Rafah, proprio al confine con l’Egitto, dove sono ammassati i palestinesi fuggiti dal nord.
L’attivista Rana Al Magawi è una di loro. Prima del 7 ottobre, quando l’incursione di Hamas ha fatto strage di israeliani, dirigeva una scuola. La sua principale attività, ora, consiste nel trovare un riparo protetto: “Siamo scappati da Rafah, nell’area di Sultan, così ci hanno detto di fare perché dicono che è il posto più sicuro. Solo che adesso non riusciamo a trovare un buco”. Non c’è nemmeno un posto libero, continua la giovane: “Io sono con mia madre di 76 anni e con una ragazza incinta e quattro bambini. Il più grande ha 9 anni”.
Mentre Israele continua a colpire il centro della Striscia, la fuga dei palestinesi verso il confine egiziano continua incessante. Tra gli ultimi arrivati c’è appunto questa attivista, che ha perso sua nonna: “Ci sono molte ragioni perché rimaniamo vedendo i nostri cari morire. Quando mia nonna si è aggravata, non l’ho potuta portare in ospedale. Negli ultimi due giorni, prima che morisse, per alleviarle il dolore ho trovato solo 5 pillole per 30 dollari. Ogni cosa è spaventosamente costosa, adesso”. Non è il solo lutto che ha colpito Rana: “Negli scorsi giorni Israele ha bombardato uno degli edifici nel campo di Al Nuseirat. In quel momento mio cugino e mio nipote erano in strada e sono morti. Un bambino di 6 mesi e suo padre. Perché? Non ci sono ragioni”. Nel campo, oltre che mangiare, anche bere è diventato un problema: “Molti stanno male in questi giorni. Stanno vomitando a causa dell’acqua sporca e per il cibo. Tanti stanno mangiando animali morti”.
Un’altra testimone, Aseel Mousa, di 26 anni, sempre al telefono, conferma la situazione drammatica. “Qui siamo 1,3 milioni di palestinesi. Israele sostiene che Rafah è un luogo sicuro, ma in realtà bombarda nell’area circostante. Le persone soffrono per l’acqua gelida. Non ci sono le cose più essenziali. Lunedì la gente di Rafah ha passato una notte di terrore per le bombe cadute nelle zone qui attorno. Così continuano ad arrivare persone”. Ora, prosegue la giovane, “stiamo aspettando la grande invasione di terra e la maggioranza pensa di non avere la forza per lasciare una casa per la terza volta. Anche perché non abbiamo un posto dove andare. Non ci sono posti sicuri a Gaza. Dove possono andare 1,3 milioni di palestinesi ammassati qui? L’esercito dice di tornare a nord? Ma dove starebbero? Non c’è più nemmeno un edificio in piedi. Se davvero ci sarà l’invasione di terra, sarà una catastrofe. Un diverso tipo di genocidio”.
La testimonianza da Rafah
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