Sono artisti “fuori legge”, rischiano di finire in manette per un disegno sul muro, ma poi vengono chiamati dalle stesse istituzioni ad abbellire le zone degradate delle città. Sono i writer: li chiamano street artist, ma la definizione suscita dispute nel mondo artistico e cittadino.
Il dibattito sul writing vandalico si riapre a Milano l’8 marzo, quando su un muro di Palazzo Marino, sede del Comune, compare un graffito: un piccolo quadrato di colore viola (vernice ad acqua, facilmente cancellabile), un segno-sfida dipinto dal collettivo Wiola Viola, un gruppo di artisti e poeti di strada, che punta il dito contro l’istituzione cittadina per chiedere un confronto sull’annosa contraddizione della città con i writer.
Milano è la capitale del writing italiano. Qui si ritrovano artisti provenienti da tutto il mondo. Sono testimoni ed eredi del movimento hip hop nato negli anni ’70 negli Stati Uniti. È allora che appaiono i primi tag o firme nella metropolitana di New: un modo dei figli di migranti e lavoratori poveri di rivendicare la propria esistenza. Lì si affermano alcuni dei più grandi artisti, che in seguito espongono nei principali musei del mondo. “Nessuno si è inventato niente. Stiamo rifacendo in modo diverso quello che altri hanno già fatto”, dice Zibe, artista ed esponente europeo del movimento writing, che insieme a Nabla, graphic designer e sua compagna di vita, ha ideato il progetto visivo “Il pensiero Fluido”. Zibe, cittadino svizzero, vive e opera a Milano, ha iniziato a disegnare negli anni ’90, quando ha cominciato a ritrarre il faccione di Gary Coleman, noto al grande pubblico come Arnold, protagonista dell’omonima serie tv statunitense trasmessa tra gli anni ’70 e ’80.
Tutto cominciò con Arnold (alias Gary Coleman)
Il writing vandalico però è un problema: le scritte sui muri aumentano. “Accade se criminalizzi gli artisti – spiega Zibe - Ma è anche colpa nostra che non siamo capaci di insegnare ai più giovani il valore e l’impegno dell’arte. Bisogna scegliere i muri giusti, quelli brutti da rivitalizzare, non la porta del Duomo”.
Massimo Lauria