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Jasim, sopravvissuto a Mosul

Un anno fa nella città irachena cominciava la guerra che ha portato distruzione, morte e ferite indelebili anche a molti bimbi

  • 20 novembre 2017, 07:00
  • 23 novembre, 03:37
04:00

Quel che resta dei bimbi di Mosul

RSI/Laura Silvia Battaglia 20.11.2017, 06:30

  • ©Laura Silvia Battaglia

Iakeen ha un’atrofia celebrale ed è nata disabile. Così come Ahmad, da Qayyara. Per entrambe le famiglie, la disabilità dei propri figli è sempre stata un marchio sociale, causa di isolamento ed esclusione. Perché la disabilità in Iraq è considerata il segno della maledizione di Dio che punisce chi la merita. Poi, appena i venti di guerra hanno soffiato più forte nelle terre irachene conquistate da Daesh intorno a Mosul, la disabilità di Ahmad e Iakeen è diventata un enorme problema. Un problema per fuggire sotto le bombe, per muoversi velocemente sotto il fuoco incrociato dei miliziani dello Stato Islamico e dell’esercito iracheno, un problema per attraversare a piedi il fiume Tigri.

Appena arrivati nel campo di Dibaga, salvi, la disabilità è rimasta un marchio sociale di famiglia finché i genitori non hanno aderito al progetto “Child protection and psychosocial-support” della Cooperazione Italiana, portato avanti con la presenza della ong Terre des hommes (Tdh) nel campo.

“Il programma – spiega Stefano Antichi, capo progetto e project manager Tdh – consente a 80 bambini con disabilità presenti a Dibaga di potere contare sull’aiuto di fisioterapisti, educatori, assistenti sociali e insegnanti che si possano occupare del loro benessere psico-fisico, dell’inclusione sociale delle famiglie nel campo, oltre a dare assistenza e supporto ai genitori dei bambini disabili durante il percorso scelto per i loro figli”.

Il campo di Dibaga ospita 30mila dispersi dalla provincia di Mosul. Secondo Unicef, l’assedio della città, durato 9 mesi a partire da un anno fa, ha fatto più di 40mila morti tra i 100mila civili intrappolati e più di 650 mila bambini hanno pagato un prezzo altissimo, in termini di traumi fisici e psicologici, agli orrori di questa guerra.

Come Jasim, rimasto orfano, che qui a Dibaga lotta ogni giorno per rendere funzionale l’unica gamba che gli è rimasta, mentre l’altra l’ha sentita strapparsi dal suo corpo mentre un aereo della coalizione gli rombava sulla testa. E su Mosul Ovest, infestata dai terroristi.

Laura Silvia Battaglia

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