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L'Egitto imbavagliato di Al Sisi

La storia egiziana, dalla rivoluzione del 2011, agli ultimi cinque anni di governo raccontata da Maaty Elsandoubi, giornalista fuggito in Italia

  • 3 luglio 2018, 08:19
  • 23 novembre, 01:01
04:39

L'esilio di Maaty

RSI/Gilberto Mastromatteo - Massimo Lauria 03.07.2018, 08:00

  • gilberto Mastromatteo

È stato per anni corrispondente in Italia per il settimanale egiziano Al Ahaly. Poi è tornato in Egitto, dove ha preso parte alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Oggi Maaty Elsandoubi è tornato a Roma, in fuga dal regime dell'ex generale Abdel Fattah Al Sisi. La storia di Maaty è quella di molti giornalisti, che nel paese dei Faraoni hanno sperimentato dapprima la rinnovata libertà guadagnata dopo la caduta di Hosni Mubarak, quindi il bavaglio imposto ai media dal nuovo presidente.

Piazza Tahir - Quel che resta della rivoluzione (del 2011)

Sono passati cinque anni dal 3 luglio del 2013, quando un golpe dell'esercito egiziano poneva fine alla presidenza dell'esponente dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi. Oggi il Paese è sull'orlo del baratro. La politica d'austerità richiesta dal Fondo monetario internazionale (FMI) sta piegando l'economia egiziana. Nel 2016 la sterlina egiziana ha perso il 50 per cento del suo valore. Un biglietto della metropolitana costava una sterlina nel 2011. Dallo scorso maggio ne costa 7. Un aumento del 700 per cento. Un terzo del salario medio quotidiano di un cittadino egiziano.

E poi ci sono gli arresti, le torture, le sparizioni e gli omicidi. Come quello del ricercatore italiano Giulio Regeni, che dal 2016 ha riportato l'attenzione dell'opinione pubblica europea sull'Egitto. Secondo l'Egyptian Commission for Rights and Freedom, un'organizzazione indipendente, ogni giorno spariscono fino a quattro persone in Egitto. Nel solo 2015 sono stati oltre 1700 i desaparecidos egiziani. Mentre sarebbero 60 mila gli oppositori arrestati per motivi politici.

Lo scorso anno il parlamento ha discusso una proposta di legge per perseguire “i commentatori politici e intellettuali pesantemente coinvolti nella diffamazione dei simboli storici e religiosi del Paese”. Prevede condanne da tre a sette anni di carcere e multe da 500 mila sterline egiziane, pari a oltre 24 mila euro. Secondo l'organizzazione non governativa Arabic Network for Human Rights Information, quasi 500 siti d'informazione sono stati oscurati e sono ormai decine i giornalisti in cella. Nel computo non figura chi ha scelto di andarsene. Come Maaty.

Gilberto Mastromatteo - Massimo Lauria

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