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La Colombia che volta pagina

I Musei della pace per ricordare la memoria del conflitto armato e del narcotraffico e non ripetere tragedie del passato

  • 1 dicembre 2017, 06:37
  • 23 novembre, 03:42
03:30

I musei della pace

RSI/Emiliano Guanella 01.12.2017, 07:00

  • ©Emiliano Guanella

La Colombia si sta lasciando alle spalle un passato fatto di guerra interna e violenza e ha deciso di occuparsi della conservazione della memoria storica. Si tratta di cinquantatré anni di conflitto fra i guerriglieri delle Farc e lo Stato, un ventennio di apogeo del narcotraffico con i cartelli di Cali e Medellin a spadroneggiare, i gruppi paramilitari e la corruzione dilagante in tutte le sfere della politica, un Paese che è stato definito per anni una “Narco-democrazia”. Vicende che hanno segnato profondamente la società, basti pensare ai 7 milioni di desplazados, i profughi interni per la guerra, e che non si vogliono dimenticare. Conoscere il passato è visto come uno stimolo essenziale per la costruzione consensuale di una convivenza reciproca.

Due musei, un unico obiettivo: ricordare per non ripetere

La Procura della Repubblica ha allestito un museo che ripercorre le tappe salienti della lotta della giustizia contro i flagelli che hanno segnato la vita del paese sudamericano. Una “galleria degli orrori”, che parte dagli oggetti lussuosi del Cartello di Medellin di Pablo Escobar, fino alle armi, jeep e attrezzature della guerriglia, citando anche i grossi casi di connivenza fra delinquenza organizzata e potere politico. “Il nostro compito – spiega la curatrice Paula Guerrero – è quello di mostrare il lavoro della giustizia, pur tra le mille difficoltà del passato. Oggi lottiamo contro la corruzione, che è una piaga che si è nutrita per molto tempo delle altre tragedie nazionali”.

Anche al museo Militare di Bogotà hanno voluto pensare ad uno spazio dedicato alla memoria del conflitto. La molla è scattata quando, nell’ambito delle negoziazioni per l’accordo di pace tra il governo e le Farc, sono stati sorti diversi comitati di vittime: contadini, lavoratori, studenti, famigliari di civili uccisi o di minorenni reclutati con la forza come soldati della guerriglia. “Noi militari – spiega il direttore del Museo Juan Fernandez Rodriguez – per molto tempo siamo stati definiti come gli unici veri eroi nazionali. E quando un soldato moriva nessuno si stupiva, perché la società ci ha visti per molto tempo come gli unici guardiani della democrazia. Siamo stati, in sostanza, disumanizzati. Nessuno ha mai considerato che anche noi eravamo vittime del conflitto come tutti gli altri. Per questo abbiamo raccolto le storie di chi ha perso un parente o è rimasto ferito. Per dire che non siamo stati super-eroi, ma vittime della guerra, come tutti gli altri”. Un percorso di ricostruzione che si estende ad altre realtà in ambito accademico e istituzionale. Gli spazi della memoria vengono aperti in primo luogo alle scuole, per raccontare ai più giovani cosa è successo. Ma l’obiettivo è quello di arrivare a tutta la società, per far capire le dimensioni degli orrori vissuti durante mezzo secolo di storia.

Emiliano Guanella

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