“Acqua di maggio è come la parola di un saggio”. “Aprile fa il fiore e maggio si ha il colore”. Lo sappiamo, ci troviamo in un periodo dove spesso – o di norma perlomeno – da noi abbondano le piogge e, dopo due inverni siccitosi, qualche goccia tra fine aprile e inizio maggio ha fatto finalmente capolino.
Ma non è dell’attività atmosferica più frenetica della primavera che vogliamo parlare: detti e contestualizzazione meteorologica ci servono invece per introdurre il tema del’undicesima puntata de #lameteospiegata, la serie RSINews proposta mensilmente in collaborazione con MeteoSvizzera. E se ancora non lo avete capito, questa volta parleremo di precipitazioni, un tema ampio e generico che ci permetterà, grazie all’esperienza del meteorologo Luca Nisi, di meglio inquadrare e capire questo fenomeno di vitale importanza per il nostro pianeta.
Che cosa sono le precipitazioni
precipitazióne s. f. [dal lat. praecipitatio -onis, der. di praecipitare «precipitare»]: In meteorologia, p. atmosferica, la fase della circolazione acquea nell’atmosfera terrestre corrispondente al passaggio dell’acqua dall’atmosfera al suolo. Il vocabolario Treccani ci viene in soccorso per una prima definizione generale, ma noi vogliamo scendere in un dettaglio maggiore: “In meteorologia si tratta di tutti i fenomeni di trasferimento di acqua dall'atmosfera al suolo in un qualsiasi stato fisico, sia liquido che solido. Le precipitazioni liquide le conosciamo bene: possono essere la pioggia sotto forma di gocce d'acqua di differenti dimensioni, con gocce molto piccole in caso di pioggerellina o pioviggine, o con dimensioni più importanti in presenza di un forte temporale. Le precipitazioni solide le abbiamo in parte viste nelle scorse puntate de #lameteospiegata, cadono sotto forma di cristalli di ghiaccio e possono assumere la forma di grandine o gragnuola, ma anche la più classica e conosciuta neve. Quello che invece forse alcuni non sanno è che sono considerate precipitazioni anche le forme sia solide che liquide che si formano al suolo, ovvero la brina e la rugiada. In questo caso il trasferimento di acqua dall'atmosfera al suolo viene fatto direttamente dal vapore acqueo; non vediamo quindi nulla cadere e la formazione è dovuta alla differenza di temperatura al livello del suolo rispetto all’atmosfera che crea il deposito di goccioline sospese, altrimenti non visibili a occhio nudo. Per concludere questa introduzione possiamo inoltre dire che le precipitazioni rappresentano – come vedremo dopo – una fase molto importante del ciclo dell'acqua, sono infatti quelle che vengono chiamate con il termine generale “acque meteoriche”, la parte di acqua che sulla terra precipita al suolo” spiega Luca Nisi.
Acqua che dal cielo cade al suolo
Come, quando, dove e perché si formano le precipitazioni?
Lo abbiamo già visto in altre puntate: la formazione di goccioline nell’atmosfera avviene ogni volta che abbiamo un processo di condensazione, tipicamente quando l’aria raffreddandosi (tipicamente salendo verso l’alto per svariati motivi e quindi subendo un processo di espansione) dispone di meno spazio per il vapore acqueo. E poi? “ Il primo stadio sono le nubi, che contengono delle gocce molto molto piccole che rimangono in sospensione grazie alla resistenza esercitata dall’aria e delle correnti, essendo goccioline o cristalli di ghiaccio molto piccoli e leggeri. A causa del loro movimento, quando si scontrano tra loro, iniziano a formare gocce o cristalli sempre più grandi e pesanti fino a che il loro peso riesce a vincere la resistenza dell'aria, cadendo poi con velocità molto variabili a dipendenza della loro forma e dimensione. Bisogna considerare che occorrono centinaia di milioni di goccioline di “nuvola” per formare una singola goccia di pioggia, tipicamente da un diametro minimo di almeno 200 micrometri, anche se possono raggiungere fino a qualche millimetro, pensando soprattutto ai temporali”.
Gocce di una certa dimensione sopra la vegetazione
Ci sono due principali meccanismi di formazione delle gocce o dei cristalli di ghiaccio che compongono le precipitazioni: “Il primo è un accrescimento per coalescenza: accade soprattutto nelle nubi calde, quando la temperatura della nube risulta superiore agli zero gradi e che quindi genererà pioggia. Questo tipo di nube si trova solitamente ad altitudini non troppo elevate e le goccioline all'interno della nuvola sono spinte verso l'alto dalle correnti ascensionali, andando a collidere con altre goccioline e aumentando pian piano di dimensioni. Una volta raggiunto il diametro che menzionavo prima di 200 micrometri, che rappresenta all’incirca la soglia limite, solitamente le correnti ascensionali non sono più in grado di mantenere in sospensione queste gocce e quindi cominciano a cadere ingrandendosi ulteriormente. La soglia è comunque relativa e dipende dalla forza delle correnti: nei temporali possono essere così forti che non solo riescono a sostenere gocce di alcuni millimetri, ma anche i chicchi di grandine, dei quali alcuni – come sappiamo da misurazioni in Nord America – hanno raggiunto dimensioni anche di 10 centimetri. Il secondo processo, che è chiamato Wegener-Bergeron-Findeisen, riguarda invece le nubi fredde (meno di 0°C) che troviamo solitamente a quote più elevate. Il processo è causato dalla presenta dei nuclei di congelamento, già visti nella puntata sulla neve. Su questi nuclei si depositano delle piccolissime goccioline d'acqua sopraffuse, ovvero allo stato liquido, ma a temperature inferiori allo zero, e attaccandosi a questi cristalli di ghiaccio congelano immediatamente e li fanno aumentare di dimensione in modo importante, finché anch'essi diventano piuttosto pesanti e la resistenza dell'aria non è più sufficiente per mantenerli in quota. Bisogna dire il cristallo di ghiaccio o fiocco di neve, quando inizia a scendere, può subire anch’esso un accrescimento per coalescenza attaccandosi ad altri cristalli di ghiaccio. Un esempio che probabilmente conoscono tutti: quando nevica con temperature sotto lo zero osserviamo dei cristallini di ghiaccio ben definiti, mentre quando nevica intensamente ma con temperature leggermente sopra lo zero, cadono quei fiocconi scenografici che spesso in Ticino definiamo come ‘cinc franc’ vista la dimensione. Si tratta proprio di agglomerati di fiocchi di neve, che inizialmente si sono formati con il processo di Wegener-Bergeron-Findeisen, ma poi hanno subito un processo di accrescimento per coalescenza”.
Quando dal cielo cadono fiocchi come "cinc franc"
Le diverse forme delle precipitazioni
Le precipitazioni possono verificarsi principalmente in tre forme diverse, anche se poi esistono pure delle sottocategorie, ma fermiamoci a quelle principali: le precipitazioni stratiformi, quelle orografiche e quelle convettive. “In Svizzera siamo fortunati perché sono frequenti tutte e tre le tipologie. Nelle zone di pianura abbiamo le precipitazioni stratiformi e convettive, ma chiaramente mancando le montagne quelle orografiche sono assenti. Le precipitazioni stratiformi sono causate da sistemi frontali, soprattutto da fronti caldi che generalmente apportano piogge distribuite uniformemente al di sopra di un'ampia zona, sono infatti caratterizzate dalla loro importante estensione sul territorio, dalla loro persistenza e dalla lunga durata. Cadono dalle nubi stratiformi, tipicamente strati e nembostrati. Il termine stratiformi non dà nessuna indicazione sulla loro intensità e possono infatti essere deboli, sotto forma di pioviggine che cade principalmente dalle nubi presenti negli strati più bassi dell’atmosfera (bisogna immaginare che una gocciolina di pioviggine non riesce a scendere più di 400-500 metri sotto la base della nube, perché evapora), oppure forti che cadono da un nembostrato. Possono durare qualche ora, ma addirittura anche alcuni giorni… basti pensare agli eventi alluvionali che hanno interessato in passato il Ticino, soprattutto verso il tardo autunno, quando la componente temporalesca non è più predominante. Sono precipitazioni soprattutto della stagione fredda, quando l'instabilità atmosferica è bassa. Ci sono poi le precipitazioni orografiche, come detto ben presenti sulla regione alpina a causa delle montagne molto alte, e si verificano quando masse d'aria umide spinte dalle correnti d'aria sono forzate a salire lungo i versanti dei rilievi alpini. Sottostanno a dinamiche complesse, quindi hanno molti sottogruppi e dispongono di numerosi sottoprocessi. Le conosciamo bene grazie alla complessità delle Alpi e sono una delle cause per il quale le precipitazioni a sud delle Alpi sono abbondanti e talvolta anche alluvionali. L'ultima categoria comprende le precipitazioni convettive, che avvengono in presenza di instabilità atmosferica, che è anche la loro causa. In questi casi l’aria a contatto con il suolo si riscalda diventando più leggera e viene sospinta quindi verso l’alto a causa della spinta di galleggiamento (principio di Archimede). Anche i fronti freddi causano spesso precipitazioni di tipo convettivo: l’aria fredda, più pesante, forza l’aria più calda che si trova davanti al fronte a salire in modo improvviso. Come tipiche precipitazioni convettive possiamo pensare ai rovesci, sia temporaleschi che non (con o senza fulmini), che sono caratterizzati da rapidi cambiamenti di densità sopra una certa zona per un periodo di tempo limitato. Hanno una forte variabilità nella loro intensità e le nubi che causano questo tipo di precipitazioni sono i cumuli e più nello specifico i cumuli congesti o i cumulonembi, in quanto i cumuli umili e mediocri sono troppo poco sviluppati per causare precipitazioni al suolo”.
A sud delle Alpi troviamo tutte e tre le tipologie di precipitazioni
L’acqua è vita: il ruolo e gli effetti delle precipitazioni
Partiamo in questo caso da un assunto molto importante: la vita è presente sulla Terra per vari motivi, ma la presenza di acqua – in particolare quella dolce – è certamente un elemento imprescindibile. “Le precipitazioni sono un tassello molto importante nel ciclo dell'acqua sul nostro pianeta, in quanto come già detto sono il processo principale con il quale l'acqua viene riportata dall'atmosfera sulla Terra, andando a chiudere questo ciclo e mantenendolo così in equilibrio. Dove non ci sono precipitazioni il clima è arido e desertico e le attività dell'uomo, salvo per alcune eccezioni come le popolazioni nomadi che vivono in condizioni estreme, ad esempio i Tuareg nel Sahara oppure gli aborigeni australiani nell’Outback, sono estremamente legate alla presenza, anche abbondante, di precipitazioni e alla disponibilità di acqua dolce, ad iniziare dalle attività agricole che ci danno il sostentamento. L'acqua dolce è presente in modo importante sulla Terra, anche se rispetto alla parte solida, la crosta terrestre, rappresenta una percentuale piuttosto bassa… possiamo insomma dire che abbiamo decisamente più ‘sassi’ che litri d’acqua dolce. Per capire meglio si possono citare alcune relazioni significative: l’acqua dolce rappresenta solo il 2,5% di tutta l'acqua presente sul nostro pianeta, una parte minima. E se poi guardiamo meglio quanta di questa acqua dolce è realmente disponibile, vediamo che la maggior parte è stoccata nei ghiacci polari in forma solida e congelata e non possiamo usufruirne. Di tutta l'acqua dolce presente, quel 2,5% sul totale, quella accessibile è infatti solo l’1% di questa cifra. Se il raffronto lo facciamo sulla totalità dell’acqua presente, quella dolce e accessibile all’uomo, per i suoi otto miliardi di abitanti, è pari allo 0,02%, davvero poco e che ci fa capire ancor più perché spesso viene definito ‘oro blu’ e l’importanza di non sprecarne anche laddove è abbondante”.
L'esempio della vasca da bagno ci fa meglio capire l'importanza dell'acqua dolce
Ma come sempre un esempio ci aiuta a capire ancora meglio il valore dell’acqua dolce: consideriamo un’ipotetica vasca da bagno da 150 litri come il volume totale di acqua sulla Terra. Il volume di acqua dolce equivarrebbe a soli 3.75 L (4 bottiglie di acqua), mentre quella accessibile e utilizzabile starebbe in bicchiere da 3 decilitri! “Senza precipitazioni quindi – aggiunge Luca Nisi – non riusciremmo nemmeno a riempirlo questo bicchiere”.
I regimi delle precipitazioni
I regimi delle precipitazioni descrivono le caratteristiche della distribuzione delle precipitazioni su una determinata regione: “Danno informazioni sulla frequenza e sui quantitativi che climatologicamente vengono misurati in una data zona, è un po’ come quando parliamo di clima arido, clima umido o temperato. Per quanto riguarda le precipitazioni abbiamo ad esempio, per citarne alcuni, il regime equatoriale, il regime tropicale, il regime monsonico, quello desertico, quello mediterraneo che conosciamo bene e da vicino, o ancora il regime continentale e quello polare, … e sono solo alcuni esempi, in quanto se si considera la grande variabilità climatica sulla Terra, si capisce bene come in realtà ce ne siano molti di più.
La distribuzione delle precipitazioni annuali a livello mondiale: si notano i colori scurri nella fascia centrale vicino all'equatore
Anche l’Europa stessa, con la sua importante variabilità di climi, è interessata da vari regimi di precipitazione. Considerato che buona parte del continente è alle medie latitudini, le correnti da ovest sono predominanti. Inoltre frequente la formazione di zone di alta pressione, con tempo generalmente avaro di precipitazioni, durante la stagione estiva e invernale. La vicinanza dell’oceano Atlantico porta però le regioni centro occidentali ad avere un regime di precipitazioni marittimo, mentre l’Europa orientale ha un regime più continentale. Nel primo caso i maggiori quantitativi si hanno nel periodo autunnale, ma la maggior frequenza di precipitazioni la si può avere anche in primavera. Nel regime continentale, nelle regioni più orientali invece le precipitazioni maggiori le si hanno invece soprattutto nel periodo estivo, con la convezione e temporali anche molto forti. L’Europa settentrionale ha invece un regime polare nel quale le precipitazioni sono ben distribuite sull’arco dell’anno. A sud, nell’Europa meridionale che si affaccia sul Mediterraneo, abbiamo l’omonimo e già citato regime, caratterizzato da un minimo di precipitazioni in estate e un massimo in inverno. A casa nostra, nella regione alpina, si ha infine un regime di transizione, considerato che siamo proprio in mezzo al continente e le Alpi fungono da barriera: qui abbiamo un massimo degli accumuli nella stagione autunnale (ottobre) e un massimo della frequenza in primavera, proprio nel mese di maggio, soprattutto sul versante sudalpino. Bisogna però anche dire che le pronunciate siccità estive che hanno interessato varie regioni alpine durante gli ultimi decenni ricordano sempre più un regime vicino a quello Mediterraneo e, proprio sul versante meridionale, si parla sempre più di clima mediterraneo. Non è però sempre così, basti pensare all’estate 2021 quando da noi sono state frequenti le precipitazioni temporalesche, anche alluvionali. Inoltre anche il massimo localizzato in inverno di questo regime, finora da noi non compare”.
La distribuzione geografica: dove ne cadono di più, dove di meno?
Lo abbiamo capito, le differenze sono molte anche solo volgendo lo sguardo poco distante da casa. Ma a livello globale, dov’è che piove di più e dove di meno? “A svettare è il villaggio di Mawsynram, ormai riconosciuto come il luogo con la più alta piovosità al mondo. Si trova in India, vicino al confine con il Bangladesh, a 1400 metri di quota sulle colline Garuda a sud dell’Himalaya. Qui in media cadono 11’971 millimetri (o litri per metro quadrato) ogni anno, un valore davvero molto importante. Il motivo? Il monsone che da sud ovest porta impressionanti quantità di aria calda e umida verso le montagne, che la forzano a salire e quindi a condensare tutta questa umidità. Dopodiché sono molto piovose anche tutte le regioni intorno all’equatore, nella cosiddetta zona di convergenza intertropicale, dove la convergenza degli Alisei causa una spiccata instabilità facendo risalire l’aria umida dai bassi strati, causando un'attività di rovesci e temporali molto pronunciata, praticamente a livello giornaliero. Questa fascia attorno all’equatore, che chi ha volato da un emisfero all’altro ha già probabilmente notato, durante l’anno si sposta poi più a nord o più a sud, toccando le zone continentali. Questa zona è anche molto conosciuta – e temuta – in ambito aviatorio ed è stata all’origine anche di alcuni incidenti del passato.
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Se invece parliamo di luogo più secco anche qui i dubbi sono pochi e molti lo hanno probabilmente già sentito nominare: è il deserto di Atacama, in Cile. È popolarmente noto per essere il luogo più arido del mondo, con una piovosità media annua di pochi decimi di litro per metro quadrato, quindi davvero un nonnulla. Per dare un'idea, quando piovono pochi decimi di millimetro in 1 ora noi lo consideriamo come pioviggine , e in questo caso ci si riferisce a un anno intero. Ci sono delle fonti non confermate che dicono che ci sono alcune zone in questo deserto dove addirittura sarebbero secoli che non piove, ma è da prendere ‘con le pinze’. Il motivo di questo primato è da ricercare in una configurazione topografica molto particolare che impedisce alle correnti umide di raggiungere la zona e sopra questo deserto è pure spesso presente una zona di alta pressione.
La Valle della Luna nel deserto di Atacama, dove di precipitazioni ne arrivano davvero pochissime
Parlando di tempo secco non possiamo comunque dimenticare anche agli altri deserti: a causa di dinamiche fisiche dell'atmosfera, abbiamo infatti una cintura degli anticicloni, soprattutto subtropicali, che si formano su delle zone ben specifiche dove tendono ad essere molto stazionari. Pensando alle nostre latitudini si può citare l'anticiclone delle Azzorre, ma ancora di più l'anticiclone africano che ogni tanto porta una propaggine verso di noi d'estate accompagnata da condizioni canicolari. Questi due anticicloni fanno parte di questa fascia, e quando questi anticicloni si formano sopra il continente significa che al di sotto non piove e si formano delle condizioni desertiche. Sotto l’anticiclone africano troviamo proprio il deserto del Sahara, quello più vicino a noi. Infine, parlando di zone aride, non vanno dimenticate le zone intorno ai poli: come avevamo già visto nella puntata sul vortice polare infatti, proprio vicino ai poli (90 e -90 gradi di latitudine), le precipitazioni sono molto scarse per la presenza frequente di una zona di alta pressione a livello della troposfera. La neve al polo si mantiene grazie al poco apporto di precipitazioni, ma soprattutto grazie alle temperature molto fredde”.
La distribuzione media delle precipitazioni in Svizzera
Per dare infine un’indicazione più ‘nostrana’, in Svizzera la stazione che registra il quantitativo maggiore di precipitazioni è quella del Säntis, nelle Prealpi di Appenzello e San Gallo: “Si tratta però di una stazione di montagna in quota, dove i quantitativi sono favoriti dall’orografia e dall’attività convettiva con la formazione di temporali frequenti. Se scendiamo nelle regioni di bassa quota, a spiccare con il massimo svizzero è la zona della Bassa Vallemaggia, Centovalli e Onsernone, dove i quantitativi annui possono superare anche i 2'000 mm, anche se con forti variazioni da un anno all’altro. Per trovare il posto più asciutto non bisogna spostarsi troppo in linea d’aria, arrivando nel cuore delle Alpi in Vallese, regione che ha un clima semicontinentale: qui la stazione di Ackersand è quella che fa registrare i quantitativi più bassi, con una media tra i 500 e i 600 mm all’anno. Tabella quantitativi
I diversi record di precipitazione suddivisi in base alla durata nel tempo
Le oscillazioni e i fattori esterni che aiutano la formazione delle precipitazioni
Se abbiamo già visto che alla base della formazione delle precipitazioni c’è la condensazione del vapore acqueo, favorita dai moti verticali, dall’orografia e dalle strutture sinottiche (fronti, zone di bassa pressione, instabilità termica, …), ci son pure altri fattori che concorrono e aiutano il processo. “Ci sono certamente i moti verticali, ma chiaramente l’umidità, che è ben presente sulle grandi superfici d’acqua del globo, dev’essere spostata per esempio verso le zone dove abbiamo le montagne. Aria umida che deve essere quindi convogliata da correnti, che possono essere a livello regionale, ma anche su scale molto più grandi, continentali e globali, e qui entrano in gioco le oscillazioni naturali. Dobbiamo quindi pensare a tutte le interconnessioni dei processi che abbiamo su scala planetaria, un esempio sono i cicli di El Niño/La Niña visti nell’ultima puntata, dove a dipendenza della fase sono l'Australia e l'Indonesia o viceversa le coste occidentali dell’America Latina che approfittano di precipitazioni importanti, con effetti anche in molte altre zone del mondo. È solo un esempio di queste grandi oscillazioni naturali che sono in grado, per un dato periodo di tempo, di convogliare su una certa regione rispetto a un’altra importanti quantitativi di umidità. Molte parti del mondo sono interessate da queste oscillazioni e altre teleconnessioni naturali. Per l’Europa ad essere preponderante è ad esempio la già menzionata in passato Oscillazione nord atlantica (NAO): quando il suo indice è positivo le perturbazioni e l'umidità vengono deviate maggiormente verso l'Europa settentrionale, mentre con un indice negativo anche il bacino del Mediterraneo può avere un tempo frequentemente uggioso”.
Precipitazioni e meteorologia, dai pluviometri alle previsioni
Partiamo da un dato di fatto: in Europa, e quindi anche in Svizzera, tutte le quantità di precipitazioni sono espresse in millimetri o litri per metro quadrato: “Sono unità equivalenti: un millimetro di pioggia sul territorio, quindi giusto un sottile ‘velo’ di acqua sulla superficie, corrisponde esattamente a un litro distribuito su una superficie di un metro quadrato (e viene denominato con litro per metroquadrato) . Allo stesso modo, se le temperature sono a zero gradi, un litro per metro quadrato/un millimetro di pioggia equivalgono a un centimetro di neve. Però sottolineo, come già visto nella puntata sulla neve, a una temperatura di 0°C, mentre al di sopra o al di sotto di questa soglia i quantitativi cambiano, più è freddo e maggiore sarà l’accumulo e viceversa. Le precipitazioni vengono misurate con il pluviometro o con il pluviografo, dei quali esistono diversi tipi, utilizzati anche a MeteoSvizzera. Per esempio il pluviometro manuale, un recipiente graduato in cui l'acqua entra e si possono leggere quanti millimetri sono caduti in un dato lasso di tempo. Poi abbiamo il pluviografo a doppia vaschetta basculante: l'acqua entra in un contenitore, cade su un bilancino e questo, ogni volta che raggiunge 0,1 millimetri, cambia posizione, fornendo l’input che ci dice che in un dato periodo abbiamo misurato questa quantità. C’è poi il totalizzatore, che viene utilizzato nei luoghi piuttosto discosti, ed è un tipo di pluviometro che viene svuotato solo una volta l'anno: l'acqua non evapora grazie alla presenza di uno strato di olio all'interno. E poi abbiamo i pluviografi di ultima generazione che non sono altro che una bilancia di precisione: in questo caso l'acqua non viene più misurata nel vero senso della parola, bensì viene pesata. Il cambiamento di peso durante una precipitazione in un dato arco di tempo viene poi trasformato con una relazione in millimetri/litri per metro quadrato. I pluviometri e i pluviografi hanno il pregio di fornire una misura diretta della precipitazione, ma restano dei singoli punti in un preciso luogo, manca quindi una visione d’insieme. Questa, così come altre informazioni generali come l’intensità e l’estensione, vengono invece ricavate – seppur in maniera indiretta – dal radar meteorologico, quell’animazione delle precipitazioni che si vede anche sulla nostra applicazione”.
Dati e misurazioni delle stazioni al suolo, manuali, automatizzati, del radar meteorologico, del modello numerico o satellitari (grazie anche alla rete di satelliti meteorologici europei EUMETSAT già trattata in un’altra puntata), portano poi i previsori a fare quello che tutti si aspettano… prevedere il tempo. “Le precipitazioni vengono previste essenzialmente da un modello numerico, così come tanti altri parametri meteo. Partendo da opportune condizioni iniziali, si possono infatti risolvere matematicamente tutte le equazioni che compongono il nostro modello, che non sono altro che relazioni fisiche trasformate in calcoli. Chiaramente il presupposto del modello è che ogni processo atmosferico, per esempio una semplice “evaporazione” o “condensazione”, deve prima venire trasformato in un’equazione, altrimenti i computer non riescono a fare le simulazioni. Il modello numerico è in grado di descrivere una grande variabilità di processi atmosferici a differenti scale temporali e spaziali, come per esempio lo sviluppo di un sistema depressionario, l'arrivo di un fronte, una situazione di favonio, l'arrivo di un temporale o di una nevicata e così via. Va però sempre ricordato che la meteorologia non è una scienza esatta, anche e proprio perché queste equazioni che descrivono lo stato futuro dell’atmosfera non sono risolvibili se non introducendo delle approssimazioni. E in questo senso è calzante l’esempio delle precipitazioni convettive (temporali o rovesci da ciclo diurno): sono legate a una maggiore incertezza e quindi a un rischio molto più alto di commettere errori, sia a livello di distribuzione spaziale, che di tempistica e di quantitativi di precipitazione. Penso che tutti abbiano già avuto una qualche (brutta o bella) sorpresa durante la stagione estiva osservando le animazioni delle precipitazioni durante le giornate temporalesche, l’incertezza di luogo e l’ora precisa dei temporali resta infatti molto alta. Le precipitazioni stratiformi e orografiche avvengono invece in situazioni di minore instabilità atmosferica e in questi casi il modello simula tutti i parametri con un minore margine di incertezza e con una previsione più accurata. Riassumendo all’osso, possiamo dire che la previsione delle precipitazioni durante la stagione fredda è mediamente più accurata di quella estiva.
Il Lago di Lugano sferzato da un forte temporale estivo il primo agosto 2018
Precipitazioni e cambiamento climatico: più caldo, più umido, più energia… più pioggia sempre e ovunque?
Muoviamo ancora una volta da un dato di fatto scientifico: per ogni grado in più di temperatura globale, risulta un aumento delle precipitazioni pari al 2%. “Chiaramente questo aumento non avviene in modo uniforme sulle varie regioni del mondo, perché abbiamo visto che un conto è avere l'umidità, un altro è avere le correnti che la spostano su una data regione, oppure dei processi che stimolano lo spostamento verso l'alto di queste masse d'aria. Insomma, se è vero che con maggiore umidità il potenziale di precipitazioni più intense e abbondanti aumenta, anche la loro distribuzione - da sempre molto irregolare a livello mondiale – viene ulteriormente influenzata e modificata dal cambiamento climatico. Con una maggiore disponibilità di umidità si potrà inoltre andare verso un'estremizzazione degli eventi e in parte lo vediamo già anche a livello svizzero: gli scenari climatici per il nostro Paese mostrano che in futuro, con proporzioni diverse in relazione all’incisività delle misure di protezione del clima che verranno adottate, le precipitazioni estive tenderanno a diminuire, mentre le precipitazioni invernali ad aumentare. Una tendenza che come già detto renderebbe il regime di precipitazioni della Svizzera, in particolare del sud delle Alpi, sempre più simile a quello del Mediterraneo.
Gli scenari sulle precipitazioni in Svizzera in relazione al cambiamento climatico, con o senza misure di protezione del clima
La siccità attuale non è causata dal cambiamento climatico, che però ne peggiora le conseguenze
Due parole si possono poi certamente spendere sulla siccità che ci sta interessando, in maniera più o meno marcata, nel corso degli ultimi due anni, pensando soprattutto al sud delle Alpi, all’Italia del Nord e a parte della Francia centro-meridionale, e che spesso nell’opinione pubblica viene attribuita al cambiamento climatico: “In realtà la siccità fa parte del clima della regione alpina e in particolare del sud delle Alpi. Prendendo ad esempio il pluviometro di Lugano vediamo che nel 1800 ci sono stati anche 3-4 anni consecutivi addirittura più secchi di quelli che stiamo vivendo, anche se non di molto. La grande differenza è che in passato, ed è qui che invece il riscaldamento climatico gioca il suo ruolo, gli anni molto secchi erano anche piuttosto freschi. La siccità attuale è invece accompagnata spesso da ondate di caldo, non solo durante l’estate, ma anche fuori stagione. L’ultimo inverno, molto secco ma pure mite, ne è un esempio. La siccità attuale non è quindi causata del cambiamento climatico, ma le temperature più elevate sì e questa è un aggravante per la siccità, perché accelera il processo di traspirazione del terreno da parte della vegetazione e perdiamo acqua dal suolo più velocemente”.
La serie storica dei dati illustra bene come la variabilità delle precipitazioni a Sud delle Alpi ci sia sempre stata
Se gli anni siccitosi ci sono sempre stati nella Svizzera italiana, ben diversa è ora la temperatura che accompagna queste condizioni
La geoingegneria e le precipitazioni: si può far piovere davvero? Quali i rischi e i vantaggi di queste tecniche?
In conclusione tocchiamo anche un altro argomento importante e molto discusso, tanto sui media quanto a livello scientifico: la geoingegneria applicata alle precipitazioni. “Scientificamente è in effetti un argomento molto dibattuto, anche perché un conto è un sistema concettuale, un modello teorico ‘da laboratorio’, un altro è applicarlo all'esterno e soprattutto su aree vaste. Bisogna dire che ci sono effettivamente dei metodi di modifica delle nubi per stimolare la condensazione, però gli effetti sono spesso a livello molto, molto locale. Un’altra via percorsa già da diversi decenni riguarda il tentativo di ridurre la dimensione dei chicchi di grandine con ioduro d'argento, con dei metodi che sono stati applicati anche in Svizzera quindi. Con l'immissione di nuclei di condensazione di ioduro d'argento all'interno dei temporali si cercava di creare molte più particelle e quindi molte più gocce d'acqua o chicchi di grandine, ma con dimensioni più piccole. Il modello concettuale funziona probabilmente a livello molto locale, ma già solo la dimensione di una nube temporalesca è un limite in sé, perché per disseminarla completamente servirebbe uno sforzo immane difficilmente immaginabile con gli strumenti e i mezzi odierni. Insomma, i risultati di questi sistemi restano molto dibattuti e con dei risultati molto localizzati. Un altro limite è rappresentato dai metodi utilizzati per valutarne l’efficacia, che sono puramente statistici e quindi poco rappresentativi su larga scala. Senza contare che è ancora più pesante l’onere della ‘controprova’, ovvero riuscire a dimostrare che senza l’immissione ad esempio di ioduro d’argento, quella stessa nuvola avrebbe prodotto o meno chicchi di grandine e di quali dimensioni. In conclusione possiamo dire che la geoingegneria in campo meteo-climatologico è ancora molto difficile da applicare nonostante l’innegabile fermento teorico”.
Riusciremo mai a far piovere dove vogliamo, quanto vogliamo e per tutto il tempo che vogliamo? O resterà una chimera teorica? Ai posteri l'ardua sentenza
Mendrisiotto ancora in deficit idrico
Il Quotidiano 08.05.2023, 19:00
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