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Lo Yemen e le spose bambine

Una figlia, in questo paese in guerra, può significare - se data in moglie - un investimento che aiuta un'intera famiglia a sopravvivere (2)

  • 25 maggio 2018, 07:56
  • 23 novembre, 01:26
05:11

Yemen è donna - 2

RSI/Laura Silvia Battaglia 25.05.2018, 07:30

  • ©Laura Silvia Battaglia

Date in spose per sfamare tutta la famiglia durante la guerra o per procurare qualche soldo nelle famiglie degli impiegati pubblici del Nord, dove da più di un anno non si riceve lo stipendio. Oggi, in Yemen, si può andare in sposa a 11 anni con un uomo di 25, anche per ricavare il necessario per una trasfusione di sangue e salvare così la vita alla propria madre: come è accaduto a Fairuz Ahmed Haider, residente in un campo profughi a Khamer, e proveniente dalla città di Sa'da, massicciamente bombardata dalla Coalizione dei Paesi del Golfo.

Così, la guerra in Yemen, soprattutto nelle aree del Nord, interessate a bombardamenti più intensi, al blocco di beni e aiuti umanitari, alla sospensione degli stipendi e alla presenza delle milizie dei ribelli Houti, ha aumentato il numero dei matrimoni precoci. Una delle ragioni più frequenti, oltre all’uso della dote delle figlie per la sopravvivenza quotidiana, è la preoccupazione che le ragazze molto giovani possano essere vittime di uomini delle milizie, possano essere rapite (i casi sono centinaia), possano essere richieste in spose con la forza e con le minacce alle famiglie da parte dei signori della guerra. Come Eman, figlia di Mohammed Abdullah al-Zawani che ha dovuto “cedere” la figlia dodicenne alle milizie Houti dopo il rapimento. La mancanza di osservatori dei diritti umani e la chiusura degli uffici delle organizzazioni internazionali rende difficile, al momento, non solo la denuncia, ma anche la rilevazione dei casi e del fenomeno.

Tuttavia, la Yemen Women Union, un’associazione di donne yemenite attiva da oltre 20 anni nel Paese, da Taiz a Sana’a e anche in aree rurali, continua a lottare per i diritti delle bambine, le protegge e le ripara, se necessario, dialoga con le famiglie, lavora in collaborazione con le autorità religiose di molti villaggi per scoraggiare la tradizione tribale, fornendo alle famiglie delle ragioni condivisibili, che sono peraltro raccomandate dalla religione. Nella casa-famiglia di Sana’a le vite di Amat e Sabaa continuano sempre uguali nonostante la guerra e la presidente, Wafaa Ahmed al-Fakih, non smette di impegnarsi per queste giovani donne.

Laura Silvia Battaglia

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