Notte tra il 27 ed il 28 maggio 2013. L’ambientalista turco Mustafa Cevdet Arslan - che si trovava nel parco Gezi, adiacente alla piazza Taksim nel centro di Istanbul - fermò i bulldozer in azione, intervenuti per distruggere il parco. Da quel momento comincia la più massiccia ondata di proteste della storia turca contemporanea. Il parco fu occupato da centinaia di migliaia di persone e la contestazione contro il piano di sviluppo urbano della piazza divenne il simbolo dell’opposizione popolare al governo di Recep Tayyip Erdoğan. La protesta fu repressa con indicibile brutalità e, analogamente agli alberi di Gezi che, pur rimasti in piedi, sono sempre più assediati dal cemento, il sogno di un’alternativa politica in Turchia ha progressivamente perso ossigeno, risultando, dopo cinque anni da quegli eventi, quasi completamente soffocato.
Alcuni protagonisti della protesta al Gezi Park di Istanbul
La scalata al potere assoluto di Erdoğan non ha subìto, da allora, battute d’arresto. Nel 2014, dopo 3 mandati da primo ministro, è stato eletto presidente della repubblica. Nel 2015 ha interrotto il processo di pace con il PKK, riaprendo il fronte di guerra interno contro la minoranza curda nel sudest del Paese. Nel 2016 ha sventato il golpe che voleva rovesciarlo, ha instaurato lo stato di emergenza e ha dato inizio alla sistematica epurazione dei propri oppositori.
E siamo all’oggi appunto: 5 anni dopo le proteste di Gezi Park, la Turchia è di nuovo di fronte ad una cruciale prova elettorale. Le elezioni anticipate,convocate per il 24 giugno prossimo, saranno un ennesimo referendum sulla persona del sultano. Qualora vincesse, Erdoğan rafforzerebbe e garantirebbe il proprio potere ancora per lungo tempo.
Italo Rondinella