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Perché non abbiamo (più) il voto elettronico

In Svizzera sono state fatte più di 300 prove, poi lo stop. E il futuro è nelle mani della Posta, che in passato ha già deluso le aspettative

  • 8 dicembre 2020, 05:30
  • 22 novembre, 18:17
06:00

L'odissea del voto elettronico

RSI / Francesco Gabaglio 08.12.2020, 05:30

A fare il primo passo era stato il canton Ginevra, con un sistema sviluppato in proprio e con denaro pubblico. Zurigo ne aveva scelto un altro, creato dall’azienda americana Unisys. Neuchâtel, infine, si era affidata a Scytl, società spagnola leader nel settore.

Tre cantoni, tre sistemi. Altri ne hanno poi adottato uno tra questi, totalizzando, negli anni, circa 300 prove di voto.

Tre sistemi sperimentati, tre sistemi falliti. Zurigo è stata la prima a gettare la spugna, nel 2016. I criteri di sicurezza imposti l’anno prima dalla Confederazione avrebbero richiesto adeguamenti del codice giudicati economicamente proibitivi. Nel 2018 è il turno di Ginevra, che abbandona la corsa con motivazioni simili.

Sul sistema di Neuchâtel, invece, mette gli occhi la Posta, che nel 2016 inizia a collaborare con Scytl per fornire ai Cantoni una soluzione pronta all’uso. Ma nel 2019 questo sistema viene bucato dagli hacker durante un test pubblico d'intrusione partito male e finito peggio: la Posta ferma il sistema, la Confederazione rinuncia a rendere l’e-voting un canale di voto ordinario e sospende la fase sperimentale.

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Sarah Jamie Lewis, Olivier Pereira e Vanessa Teague sono gli hacker che nel 2019 hanno scoperto le falle più gravi nel sistema di e-voting della Posta.

Ora è il momento di riorganizzarsi: una commissione internazionale di esperti, tra i quali alcuni degli hacker protagonisti del test del 2019, si è riunita quest’estate su mandato della Cancelleria federale per discutere e ridefinire le esigenze delle future fasi sperimentali. La Confederazione dovrà ora prendere posizione sui risultati. La Posta, nel frattempo, ha acquistato il codice di Scytl, fallita a maggio 2020, e sta continuando a svilupparlo indipendentemente con un nuovo gruppo di esperti. La nuova versione verrà pubblicata nel 2021.

Un’odissea, insomma. Ma a quale scopo? Secondo le statistiche, nei cantoni che hanno sperimentato l’e-voting la partecipazione non è stata più alta del solito: dopo un’iniziale crescita il numero di votanti è tornato ai livelli precedenti. Ma poco importa, secondo Nenad Stojanović, professore di scienze politiche all’Università di Ginevra: “Bisogna fare ciò che è possibile per facilitare alle cittadine e ai cittadini l’espressione democratica. Ogni passo che vada in questa direzione è da accogliere positivamente”. L’e-voting permetterebbe inoltre, secondo Stojanović, di risolvere altri problemi: “Oggi i risultati delle votazioni e delle elezioni non corrispondono al 100% a quello che gli elettori hanno votato. Questo problema si risolverebbe col voto elettronico: avremmo una certezza maggiore sull'affidabilità dei risultati. Ma sempre con la premessa di essere sicuri al 100% che il sistema informatico non possa essere manipolato”.

Le questioni informatiche, però, non sono l’unico ostacolo. “Una volta risolti i problemi tecnici, rimane la questione del volere o no il voto elettronico”, continua Stojanović. “Ci sarà sempre chi, un po’ per partito preso, è contrario a qualsiasi innovazione in questo campo. Come per il voto per corrispondenza, ci vuole un po' di tempo per far sì che questi scetticismi si calmino”.

In effetti negli ultimi anni le opposizioni sono state molte. Ma non sono tutte riducibili al mero conservatorismo: l’anno scorso molte sezioni giovanili dei partiti politici, il settore dell’informatica e dell’hacking, e rappresentanti di tutto lo spettro politico hanno fatto fronte comune nel lanciare un’iniziativa per una moratoria all'e-voting. Iniziativa che è stata interrotta, ma che è sintomo di uno scetticismo – o di una cautela – mai così forte e trasversale.

Francesco Gabaglio

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