Arroccato su una delle colline di tufo che costellano la Toscana meridionale, Pitigliano è un dedalo di vicoli e camminamenti che dominano i colli circostanti. Una campagna verdissima ospita da secoli ulivi, viti e allevamenti ovini. Negli ultimi decenni è diventata meta di un turismo di nicchia, che rifugge grandi città e borghi d’arte sovraffollati. Ma se oggi i cammini scavati nel tufo e gli agriturismi accolgono visitatori da tutto il mondo, durante la Seconda Guerra Mondiale qui si nascondevano decine di famiglie ebree, fuggite per salvarsi la vita e nascoste da fattori e contadini, che rischiavano rappresaglie pur di sottrarre i concittadini ai rastrellamenti nazi-fascisti.
Tra queste famiglie c’è quella di Elena Servi che, a novant’anni appena compiuti, è l’ultima sopravvissuta di una comunità che nell’800 contava centinaia di persone.
Pitigliano, la piccola Gerusalemme, la sua gente, la sua storia
Soprannominata 'la piccola Gerusalemme’, Pitigliano divenne un centro dell’ebraismo italiano quando - nel XVI secolo - i conti Orsini decisero di accogliere i transfughi dallo Stato Pontificio e dal Granducato di Toscana, dove erano state introdotte leggi discriminatorie verso gli ebrei, che prevedevano il confinamento in ghetti e limitazioni ai diritti civili e di proprietà. Spopolatasi dal secondo dopoguerra, quando diverse famiglie ebree si spostarono verso altre città italiane, Pitigliano tiene viva questa storia di coabitazione e contaminazione, grazie soprattutto all’associazione “La piccola Gerusalemme” - la cui presidente è Elena Servi - e all’omonimo museo, che si snoda tra la sinagoga cinquecentesca e i sotterranei dove invecchiava il vino kosher e si infornava il pane azzimo.
Daniela Sala - Giacomo Zandonini