La rete dei custodi dei semi è un gruppo di volontari che si prodiga per conservare e riprodurre le specie vegetali coltivate per migliaia di anni dagli esseri umani e che adesso, scartate dall’agricoltura industriale, rischiano l’estinzione. L’industria e il commercio selezionano le specie vegetali che più si adattano alle esigenze del mercato: resistenza agli spostamenti, produzione, adattamento alle monocolture. Queste varietà però non sempre coincidono con quelle che gli esseri umani hanno coltivato fin dall’antichità.
Le varietà autoctone, coltivate dai popoli indigeni dell’Ecuador, hanno ottenuto nei secoli un tasso molto elevato di resistenza alle avversità locali. Terminando per essere le più produttive, le più resistenti e le più adatte ai cambiamenti. Gli embrioni presenti all’interno dei semi però hanno una vitalità limitata. Dopo soli 5 anni la maggior parte delle specie vegetali adatte al consumo umano ha già perso più dell’80% della propria capacità riproduttiva. Ciò significa che basta poco più di un decennio per vedere scomparire alcune specie vegetali.
I semi prodotti e venduti dalle grandi multinazionali del settore, come Syngenta, Bayer e Monsanto, non sono riproducibili. Questo per obbligare il consumatore a un nuovo acquisto ad ogni semina. Dall’altra parte, i semi e le varietà coltivate nel passato non possono oggi essere commercializzate o vendute, perché non rientrano negli elenchi igenico-sanitari delle autorità e delle istituzioni che regolano il commercio.
Samuel Bregolin