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Storia che va e che torna (2)

Vita di Mohammed, foreign fighter tunisino, partito per difendere i diritti dei siriani e mai più tornato nel racconto della madre

  • 22 febbraio 2018, 06:48
  • 23 novembre, 02:30
03:00

Il figlio partito e mai più tornato

RSI/Francesca Mannocchi 22.02.2018, 06:30

  • ©Francesca Mannocchi

Secondo le stime delle Nazioni Unite sarebbero tra cinque e seimila i giovani tunisini che si sono uniti allo Stato Islamico (IS) in Iraq, Siria e Libia negli ultimi anni. Un numero altissimo. La maggior parte di loro proveniva dalle zone rurali del paese e dalle periferie di Tunisi, aree in cui la marginalizzazione sociale, l’esclusione politica e l’altissimo tasso di disoccupazione sono stati fattori determinanti nella scelta di lasciare il paese e combattere per il Califfato. E tunisini erano anche i terroristi che hanno attaccato la località turistica di Sousse e il Museo Bardo. Tunisino era Anis Amri l’attentatore che ha travolto con un camion un mercato di Natale a Berlino nel dicembre 2016 e tunisino era Mohamed Lahouaiej Bouhle, che ha travolto la folla a Nizza con un TIR nel luglio del 2016. Tutti gli attentati sono stati rivendicati dall’IS.

Mohammed era uno di loro, proveniva da Ettadhamen, uno dei quartieri alla periferia di Tunisi, bacino di reclutamento per l’IS locale. Sua madre piange sul ritratto del ragazzo da quando è stato ucciso in Siria, non si dà pace. Ma soprattutto è preoccupata che quello che ha patito possa colpire altre donne. Il reclutamento, dice, è tutt’altro che finito. Continua per le strade delle zone disagiate e nelle moschee.

Il ritorno dei foreign fighters

Oggi per la Tunisia si è aperta una fase se possibile ancora più delicata, quella della gestione dei foreign fighters di ritorno. Di chi, a differenza di Mohammed, è sopravvissuto al jihad e vorrebbe tornare a casa. “La Tunisia non ha mezzi per controllarli” sostiene Badra Galoul, presidente del Centro internazionale di studi strategici e militari di Tunisi, contraria al ritorno dei combattenti, nonostante la nuova costituzione approvata nel 2014 preveda che nessun cittadino tunisino possa essere privato della cittadinanza né che possa essere negato il ritorno in patria.

“I centri di riabilitazione costano e noi non abbiamo denaro, di progetti di deradicalizzazione non c’è traccia e anche se ci fosse non credo funzionerebbero, possono funzionare forse in Francia, in Belgio, su numeri decisamente minori, noi non possiamo accogliere i tremila sopravvissuti che vogliono tornare. Dobbiamo piuttosto prenderci cura del dolore delle madri che piangono i propri giovani morti in nome di una interpretazione folle della religione”.

Francesca Mannocchi

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