Gennaio è storicamente il mese delle rivolte in Tunisia, lo è stato nel 1978 e 1984 (le rivolte per il pane), lo è stato nel 2011, (anno della rivoluzione) e nel 2016 (per l’occupazione e il lavoro), è tornato ad esserlo nel 2018.
Debiti e sacrifici
Sull’economia tunisina grava un maxi prestito di 2,9 miliardi in quattro anni, concesso dal Fondo Monetario Internazionale in cambio di politiche di austerity e di un taglio alla spesa pubblica. Quando il governo di Youssef al-Shahed, del partito laico Nidaa Tounes, ha inserito nella nuova legge finanziaria l’aumento dell’Iva con conseguente aumento dei prezzi - della benzina, del gas, dello zucchero, di telefoni e internet - centinaia di persone sono scese in piazza in più di dieci città del paese, da Kasserine, a Tunisi a Djerba.
La Tunisia deve far fronte a un deficit che ha quasi raggiunto i 6 miliardi di dollari nel 2017, in un paese dove lo stipendio medio è di 400 dinari: meno di 150 euro. Secondo dati dell’Istituto di statistica tunisino, il tasso di inflazione ha raggiunto il 6,4% nel dicembre 2017. In un anno, i prezzi al consumo hanno registrato un aumento del 6,4%, con punte dell’8,3% per i generi alimentari. L’economista Clara Capelli (Ispi) sostiene che “sebbene la manovra si proponga di contenere i conti pubblici, essa andrà a gravare in particolare sulle fasce economicamente più deboli della popolazione tunisina e sul ceto medio. Proprio quei soggetti che hanno maggiormente risentito di un’altra impopolare misura: la svalutazione, di fatto, del dinaro tunisino. La valuta nazionale ha perso circa il 10 percento del proprio valore rispetto all’euro tra il 2015 e il 2016 e oltre il 20 percento tra il 2016 e il 2017. Tutto ciò ha ulteriormente depresso il potere d’acquisto di tunisini, alimentando la frustrazione sociale".
Per questo, i giovani che erano scesi in piazza sette anni fa a chiedere un cambiamento radicale, politico e istituzionale, a chiedere di combattere la disuguaglianza, l’immobilismo e la repressione, sono in piazza ancora una volta, nonostante per molti la Tunisia rappresenti il modello riuscito delle rivolte nordafricane del 2011.
Francesca Mannocchi