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Tutto perché: Baghdad, je t'aime

Arriva a Venezia l'Iraq visto da chi ci è nato, con un film che più che al passato e alla guerra, guarda a un presente di lacerazioni e dubbi

  • 6 settembre 2021, 08:07
  • 20 novembre, 19:46
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Shooting in Baghdad

RSI/Laura Silvia Battaglia 06.09.2021, 07:45

È appena stato selezionato alla Biennale del cinema di Venezia, sezione “Final Cut”, e farà discutere, specie nel clima attuale, in cui gli Stati Uniti firmano il loro disimpegno militare da Afghanistan e Iraq. Il film si chiama “Hanging Gardens” e ha per protagonista un bambino (Assad) e una sex doll, trovata in una discarica. Il film, prodotto da Huda al-Khadimi della casa di produzione di Amman Ishtar Iraq production, con il contributo fondamentale di parecchi donatori, tra cui il ministero della cultura iracheno e l’Arab Fund of Arts and Culture (AFAC) di Beirut, è il migliore biglietto di presentazione del nuovo cinema iracheno: quello che nasce dal lavoro e degli obiettivi della generazione dei filmaker nati durante l’occupazione americana, oggi poco più che ventenni e vissuti per parecchi anni all’estero, anche da rifugiati. Una generazione che ha parecchio da dire e vuole innovare la narrativa di questo cinema, sempre protesa al recupero del passato storico o ossessionata dal sacrificio dei propri soldati nella guerra all’Isis.

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Mostra del cinema di Venezia

Telegiornale 01.09.2021, 22:00

Il film ha una sua forza dirompente anche perché nasce dalla stretta collaborazione, in fase di sceneggiatura, tra l’americana Margaret Glover – che è il coproduttore inglese - e il regista Ahmed Yassin al-Daraji, formatosi a Baghad e poi emigrato in Inghilterra. “Abbiamo cercato di comporre una storia nella quale gli iracheni potessero riconoscersi" sottolinea la Glover. "Una storia in cui – le fa eco il regista Ahmed Yassin al-Daraji – ci si potesse discostare dall’Iraq descritto da “The American sniper” e in cui potessimo anche spiegare il conflitto generazionale, tra la mia generazione e quella di mio padre”.

Il film è stato girato tutto a Baghdad nei mesi scorsi, tra Diyala e Baquba, due aree a Sud della capitale molto pericolose, per la presenza delle milizie armate, ma dove l’ambientazione restituisce totale autenticità al film. Wareth Kweish, assistente di produzione e aiuto-regista, filmaker indipendente, fa capire che il rapporto di amore-odio tra la sua generazione e questo Paese non è mai finito: “Qui è tutto assurdo, difficile. Se volessimo girare un 'dietro le quinte' del film, sarebbe esso stesso un film. Ma noi amiamo Baghdad. Diciamo sempre 'Paris je t’aime'. Perché non dire che tutto quello che facciamo è un modo per dire: 'Baghdad, je t’aime' ?".

Laura Silvia Battaglia

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