È da oltre un anno e mezzo che, ogni venerdì pomeriggio, centinaia di cittadini di Baghdad scendono in piazza Tahrir per manifestare contro la corruzione, chiedere una nuova legge elettorale e la sostituzione dell’attuale commissione per il voto.
La maggior parte dei manifestanti fa capo alla corrente dell’influente leader sciita Muqtada al Sadr, che settimana dopo settimana ha invocato il boicottaggio delle prossime elezioni (quest’anno le provinciali e il prossimo le parlamentari), se il Governo non metterà in atto alcuna riforma a breve.
Già nell’aprile del 2016 queste proteste avevano messo a dura prova la tenuta delle istituzioni, quando i manifestanti erano riusciti a penetrare nella Zona Verde, dove hanno sede i palazzi del potere oltre a numerose ambasciate, e ad occupare per alcune ore il Parlamento. Lo scorso febbraio invece, un nuovo tentativo di sfondare il cordone di sicurezza verso la Green Zone ha portato all’uccisione di sette manifestanti negli scontri con la polizia.
Fra i dimostranti non ci sono soltanto esponenti del clero sciita, ma anche cittadini comuni, non necessariamente legati alla corrente politico-religiosa, che chiedono più sicurezza, investimenti per i servizi e maggiore onestà della classe politica. Molti di loro provengono da quartieri popolari come Sadr City, dove quotidianamente ci si confronta con il potere delle milizie, la povertà, il traffico di armi, la morte dei propri cari in guerra, la mancanza di beni di prima necessità, come la corrente elettrica, e di abitazioni dignitose. Qui vivono circa tre milioni di persone, su un totale di poco più di sette milioni di abitanti nell’intera Baghdad.
In tanti sfilano con la bocca coperta da un adesivo rosso, contro la censura e per la libertà di parola, e manifestano preoccupazione per il futuro del paese, quando la battaglia di Mosul contro il sedicente stato islamico sarà finita.
Ilaria Romano