La vita di Taranto è legata a doppio filo a quella della produzione di acciaio che si effettua nell’impianto siderurgico più grande d’Europa: prima Italsider e poi Ilva. I danni ambientali prodotti dall’industria, accolta negli anni del boom economico come portatrice di progresso e benessere, sono stati toccati con mano solo molto tempo dopo, ed oggi sempre di più alimentano una coscienza collettiva che chiede un cambiamento di rotta.
Siamo partiti, in questa prima puntata, dal mare per raccontare l’altra faccia della città, e abbiamo incontrato i ricercatori della Jonian Dolphin Conservation che da ormai dieci anni si occupano di studiare i mammiferi marini nel Golfo di Taranto. Attraverso la “citizen science” riescono oggi non solo a finanziare le proprie attività, ma anche a fare divulgazione scientifica creando conoscenza fra i turisti e i cittadini non specializzati, che possono osservare i cetacei nel loro habitat naturale e imparare a proteggerli.
Il mare tra vita e morte
Il contrasto fra ecosistemi marini ancora ricchi di vita e altri profondamente compromessi dall’inquinamento si percepisce maggiormente nel Mar Piccolo, dove a partire dal 2011, il primo seno è stato interdetto all’allevamento delle cozze (l’oro nero di Taranto) per le forti concentrazioni di diossina e policlorobifenili ritrovai nei mitili. Luciano Carriero, uno dei produttori che allora aveva perso il lavoro, oggi si è reinventato e vende le cozze di altri mitilicoltori, mentre cerca di realizzare il suo prossimo sogno: aprire una fattoria ittica nell’area marina protetta del secondo seno del Mar Piccolo.
Infine abbiamo incontrato Vincenzo, entrato in Ilva subito dopo il servizio militare, come tanti altri coetanei cresciuti a pochi passi dall’acciaieria, abituati alla sua presenza come fosse parte integrante della città, del suo quartiere. Poi messo di fronte alla scelta fra due diritti inalienabili: quello al lavoro e quello alla salute, propria e dei propri cari.
Ilaria Romano - Mauro Consilvio