Come stringere le redini al settore bancario svizzero? È la domanda che ci si pone all’indomani della pubblicazione del rapporto della commissione parlamentare d’inchiesta sul ruolo avuto dalle autorità nel tracollo di Credit Suisse. Un tema che occuperà governo e parlamento nei prossimi mesi. Il rischio è che alle parole non seguano i fatti, secondo Dirk Schütz, caporedattore della rivista economica Bilanz, intervistato dal Radiogiornale RSI.
Dirk Schütz, Lei ha scritto un libro sulla fine ingloriosa di Credit Suisse: c’è qualcosa che nel rapporto della commissione che l’ha comunque sorpresa?
“Sì, per esempio quanto la FINMA, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari, sia stata accondiscendente con il Credit Suisse. Nel mio libro ho scritto di come UBS se ne sia spesso lamentata, ma il fatto che capitasse in modo così sistematico mi ha sorpreso”.
Uno dei punti più scottanti sembrano le concessioni sui requisiti di capitale proprio. In sostanza alla banca mancavano più di 10 miliardi di franchi di capitale proprio, ma gli sconti concessi dalla FINMA facevano apparire tutto in regola. Non è sconcertante?
“Era noto sul mercato che Credit Suisse avesse un trattamento diciamo più morbido da parte della FINMA rispetto a UBS. L’ex direttore di Credit Suisse Tidjam Thiam aveva creato una sorta di contabilità parallela: una tradizionale e una per dimostrare il successo della sua riorganizzazione. E naturalmente i bonus ai manager venivano pagati in base a questa seconda contabilità. Ma bisogna considerare che la crisi acuta del Credit Suisse nell’autunno 2022 non è stata scatenata dalla mancanza di capitale proprio, ma dalla crisi di liquidità e di fiducia dopo i vari scandali”.
Ora si chiedono norme più severe: come cambieranno secondo lei i rapporti tra la FINMA e le banche, UBS in primis?
“La FINMA aveva già avanzato le sue richieste, ad esempio la possibilità di infliggere multe o di ritenere responsabili i singoli manager. Ora probabilmente verranno introdotte misure aggiuntive, ma ho i miei dubbi che servano davvero a qualcosa, la crisi del Credit Suisse non sarebbe stata evitata nemmeno così. E quindi capisco che UBS faccia a fatica a digerire il fatto di essere sottoposta a regole più severe: ha salvato Credit Suisse e ora viene punita indirettamente”.
Non vede però il rischio che dopo l’indignazione iniziale e le richieste di misure più severe, alla fine non se ne faccia niente e si vada avanti come prima?
“Sì, sono rimasto un po’ sorpreso dal fatto che le richieste formulate nel rapporto siano piuttosto deboli. Il Consiglio federale aveva già pubblicato un rapporto in aprile per adeguare le misure del too big to fail, e lì la questione del capitale proprio era stata affrontata in modo più deciso. Diciamo che anche il fatto che la commissione abbia presentato questo rapporto appena prima di Natale, quando poi tutti vanno in vacanza, significa che non ci si aspettava un impatto enorme”.
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