La crisi di Credit Suisse insegna molto, ma per la Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI) occorre anche intervenire. È un documento che guarda al passato, ma rivolto soprattutto al futuro il rapporto, pubblicato venerdì, dal gruppo di 14 deputati federali incaricati di far luce sulla gestione operata dalle autorità nella fusione d’urgenza di CS con UBS.
Un documento che promuove pochi e boccia molti. Tra chi esce meglio dall’inchiesta, le autorità elvetiche che, nel marzo 2023, “sono riuscite a impedire una crisi finanziaria globale”. Nondimeno è “indispensabile trarre insegnamenti dalla crisi di Credit Suisse”, sottolinea il comunicato della CPI formata da 7 consiglieri nazionali e 7 consiglieri agli Stati (3 UDC, 3 Centro, 3 PLR, 2 PS, 2 Verdi e 1 Verde liberale).
Alle Camere federali è stato consegnato un rapporto che non fa sconti alla FINMA, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati, valutata sotto diversi aspetti molto severamente.
Anni di malagestione da parte di CS
Al termine di un anno e mezzo di lavori, 45 sedute durante le quali sono state sentite 79 persone e analizzate 30’000 pagine di documenti, la CPI presieduta dalla consigliera agli Stati friburghese Isabelle Chassot, ha tratto le proprie conclusioni. Il documento si apre individuando i grandi colpevoli dell’accaduto (in maniera quasi obbligata, visto che non era quello lo scopo del mandato parlamentare, ma da lì sono dovuti partire): “La CPI ritiene – si legge nella prima riga del documento - che gli anni di malagestione da parte di CS siano all’origine della crisi”. La responsabilità, si afferma più avanti, “è imputabile al consiglio di amministrazione e al consiglio direttivo di CS degli ultimi anni”.
Troppe agevolazioni e attività di vigilanza in parte inefficace
Se i vertici della banca sono il primo colpevole, il rapporto valuta però “criticamente anche le agevolazioni sui fondi propri concesse dalla FINMA e deplora altresì la sua attività di vigilanza in parte inefficace”. Inefficaci, perché nonostante i numerosi procedimenti di “enforcement e i relativi segnali di allerta, su CS si è abbattuto uno scandalo dopo l’altro”. In particolare la CPI “deplora che la FINMA non abbia revocato la garanzia di irreprensibilità in quel momento”.
La CPI afferma inoltre di “non comprendere i motivi per cui, nel 2017, la FINMA abbia accordato a CS ampie agevolazioni sui fondi propri”. Un trattamento che deve servire da insegnamento: “Secondo la CPI è necessario intervenire urgentemente in merito alla concessione di agevolazioni alle banche di rilevanza sistemica”.
Una crisi in quattro fasi
La CPI ha fissato come punto di partenza della sua inchiesta il 2015, quindi ha individuato quattro fasi e si è concentrata sulle prime tre: la prima dal 2015 all’estate 2022, la seconda dall’autunno 2022 all’inizio di marzo 2023, la terza corrispondente alla fase acuta durata quattro giorni dal 15 al 19 marzo 2023 e la quarta che coincide con l’attuazione della fusione.
Informazioni carenti e incontri in parte inadeguati
Gli accertamenti della CPI hanno portato a determinare che non tutte le autorità coinvolte nella vicenda avevano lo stesso livello di informazione sulla situazione in cui si trovava l’allora seconda grande banca elvetica. Ciò che “potrebbe aver impedito di intervenire prima in modo deciso”. In particolare, viene rilevato, erano carenti le informazioni di cui il Consiglio federale disponeva nell’autunno 2022.
Inoltre vengono ritenuti “in parte inadeguati” gli incontri informali avviati in quel periodo su iniziativa dell’allora capo del Dipartimento federale delle finanze (Ueli Maurer) e del presidente della BNS (Thomas Jordan), in quanto non sufficientemente coordinati con le ordinarie strutture di crisi.
Ma anche il Parlamento non è esente da critiche poiché, nota la Commissione, prima dello scoppio della crisi, con il Consiglio federale ha “attribuito eccessiva importanza, soprattutto dal 2015, alle esigenze degli istituti bancari di rilevanza sistemica nell’attuazione degli standard internazionali”.
Credit Suisse, conferenza stampa del Consiglio federale con lingua dei segni
Informazione 19.03.2023, 20:00
Riguardo al momento più esplosivo, quando domenica 19 marzo 2023 è stata annunciata, alla presenza della ministra delle finanze Karin Keller-Sutter, la fusione tra UBS e CS, la CPI afferma che “non è chiaro quale soluzione sarebbe stata attuata nel caso in cui la fusione d’urgenza non fosse andata a buon fine”. Le autorità avevano perseguito parallelamente altre opzioni: il risanamento, la nazionalizzazione temporanea e, ultima ratio, una fusione forzata.
Per la CPI è però chiaro che “nella ricerca di una soluzione le autorità si sono adoperate a conciliare in qualche modo gli interessi di CS e UBS, prestando attenzione anche alle ripercussioni finanziarie per la Confederazione”.
Come anticipato in avvio, la CPI non ravvede alcuna mancanza imputabile alle autorità nella crisi di CS, ma chiede comunque una serie di miglioramenti, in particolare una regolamentazione TBTF (too big to fail) orientata agli standard internazionali, disposizioni più efficaci per le banche di rilevanza sistemica e regole più chiare per la collaborazione tra le autorità preposte alla stabilità finanziaria in Svizzera.
Una ventina di raccomandazioni e diversi atti parlamentari
Nel suo rapporto vengono rivolte una ventina di raccomandazioni al Consiglio federale, ma al tempo stesso la CPI presenta sei postulati, quattro mozioni e un’iniziativa parlamentare. Questo perché la Commissione è giunta alla conclusione che la legislazione TBTF è “eccessivamente incentrata sulla Svizzera, in particolare nella pianificazione d’emergenza”. La liquidazione di una banca di rilevanza sistemica (G-SIB), operante dalla Svizzera a livello internazionale, “deve necessariamente considerare le interrelazioni internazionali”. Inoltre la TBTF “non è concepita per far fronte a una crisi di fiducia”.
L’ultimo paragrafo è dedicato a UBS: “L’unica G-SIB rimasta in Svizzera, ha dimensioni di gran lunga superiori a quelle di altri istituti finanziari esteri in rapporto al rispettivo PIL nazionale”. Per la CPI è “indispensabile che questo aspetto sia adeguatamente considerato nella regolamentazione”.
Ricevuto il rapporto, il Consiglio federale ha ora tempo sino alla prossima sessione parlamentare per redigere una presa di posizione. Le deliberazioni in Parlamento sono previste nella sessione primaverile 2025.
Le parti coinvolte
L’incarico della Commissione non era quello di indagare su cosa è successo all’interno della banca, ma sul ruolo avuto dalle autorità. L’inchiesta si è concentrata sull’analisi di quanto fatto nelle varie fasi della vicenda che ha portato alla funsione d’urgenza tra Credit suisse e UBS dal Consiglio federale e dalle parti firmatarie del Memorandum of Understanding in materia di stabilità finanziaria. Trattasi del Dipartimento federale delle finanze con gli uffici specializzati competenti, dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e della Banca nazionale svizzera (BNS), oltre che dell’Autorità federale di sorveglianza dei revisori (ASR).
In attesa del rapporto sul crollo di Credit Suisse
Telegiornale 19.12.2024, 20:00