Svizzera

Credit Suisse, un anno dopo: l’impatto sul personale

Il punto sulle conseguenze per i dipendenti dell’acquisizione da parte di UBS: intervista con la direttrice nazionale dell’ASIB Natalia Ferrara

  • 19 marzo, 14:24
  • 19 marzo, 19:38
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reuters

  • Immagine d'archivio
Di: RG-Luca Berti/RSI Info 

Un anno fa, subito dopo la notizia dell’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS, emersero da subito moltissime preoccupazioni per le conseguenze a carico del personale. Un anno dopo, che bilancio si può trarre? Luca Berti ne ha parlato con Natalia Ferrara, direttrice nazionale dell’Associazione svizzera degli impiegati di banca (ASIB)

Un anno dopo la fine di Crédit Suisse, e siamo solo all’inizio... Nel senso che il processo di integrazione è appena cominciato e quindi da un lato, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, abbiamo ancora quasi tutte le persone al loro posto. Dall’altro, il carico di lavoro è aumentato perché questa integrazione è un’operazione molto, molto complessa. Quindi abbiamo impiegate ed impiegati decisamente stanchi.

A regime, voi temete che possa poi cambiare qualcosa? Nel senso che magari c’è meno lavoro, ma proprio perché ce n’è di meno, magari ci sarà poi l’esigenza di alleggerire anche la forza lavoro...

C’è questo accordo, c’è un impegno da parte di UBS che finora è stato rispettato con questo taglio di al massimo 3’000 posti di lavoro sull’arco di diversi anni. Non posso negare che però tutto dipende dall’andamento della banca. Ed è anche per questo motivo che io dico sempre che è nell’interesse di tutti che questa fusione funzioni.

Il fatto che ad acquisire Credit Suisse sia stata l’altra grande banca svizzera ha forse permesso questa maggiore attenzione proprio per il mercato del lavoro svizzero?

È sicuramente così. Alcuni dicevano che in fondo si poteva anche aprire al mercato estero. Sì, è vero. (Ma) non credo che sarebbe stato possibile un salvataggio nell’arco di 3-4 giorni e credo anche che, ad esempio, se un gruppo americano fosse arrivato in Svizzera per comprare Credit Suisse, avremmo parlato di 10’000-12’000 o 15’000 posti di lavoro tagliati subito. Ciò non toglie che abbiamo due banche molto simili e che ci siano questi doppioni. Non è solo una questione di immobili, di stabili. È anche una questione di funzioni, di persone.

Parlando di persone, si diceva di 3’000 posti a rischio in Svizzera nei prossimi anni. Poi però qualcuno è già partito. Il mercato bancario è riuscito in qualche modo a riassorbire?

Ci sono sicuramente due categorie differenti di persone. Ci sono quelle che sono uscite da Credit Suisse spontaneamente, soprattutto le persone cosiddette al fronte: i consulenti, gli assistenti, le persone molto specializzate. E queste sono andate via perché avevano già un altro posto. Dall’altra parte abbiamo invece le persone che hanno ricevuto una comunicazione, secondo cui il loro posto di lavoro non esisterà più. E non sono ancora sul mercato, perché dopo la comunicazione ricevuta c’è ancora tempo, con il piano sociale che dura fino a un anno per cercare un nuovo posto. Il problema però rimane adesso, fra 6 mesi e fra un anno. Nel senso che la piazza finanziaria ha molti posti aperti, ma i profili non coincidono. Bisogna trovare delle soluzioni transitorie per poi permettere un prepensionamento o un pensionamento. Il piano sociale di UBS permette di trovare delle soluzioni. L’obiettivo, vedremo se sarà stato raggiunto fra un paio d’anni.

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RG 12.30 del 19.03.2024 - L’intervista a Natalia Ferrara, direttrice nazionale dell’ASIB

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  • Keystone

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