Le case per anziani sono state duramente colpite dalla pandemia di coronavirus. Si stima che in Svizzera fino a due terzi delle morti dovute al Covid-19 sono avvenute all’interno di queste strutture. Sono molti gli interrogativi e le critiche riguardo alla gestione della situazione negli istituti per la terza età, soprattutto dopo l’esperienza della prima ondata. I piani di protezione però ci sono, afferma il dottor Rudolf Hauri, presidente della conferenza dei medici cantonali, che esclude una qualsiasi tipo di selezione precoce dei pazienti da ospedalizzare.
Dottor Hauri, qualcuno da qualche parte ha fallito per ritrovarci, in Svizzera, in una situazione del genere?
"In effetti gran parte delle persone morte viveva in una struttura con altri ospiti. Si tratta di istituti per i quali non ci sono divieti assoluti di visita o altre restrizioni di carattere generale. Uno dei motivi è probabilmente questo: le visite sono di principio autorizzate e ai pazienti viene concessa una certa libertà di movimento".
A questo proposito dalla politica, in particolare dall'UDC, viene proprio criticata l'assenza di concetti di protezione efficaci valevoli per tutto il territorio nazionale. Lei cosa dice?
"Mi risulta che i concetti di protezione ci sono e che la loro applicazione viene controllata. Essi proteggono ma va detto che in un istituto non si è rinchiusi e che gli ospiti hanno bisogno di contatti (lo abbiamo visto anche durante la prima ondata). Si tratta dunque di trovare un equilibrio fra barriere protettive e alcune libertà personali".
Ma allora si potrebbe puntare sui test di massa, perlomeno fra il personale curante. Per una ragione o per l'altra, a parte qualche Cantone, l'impiego -per esempio- dei test rapidi non decolla. Perché?
"Bisogna relativizzare un po' i test di massa. È un approccio che conosciamo anche nel mio cantone (Zugo), specialmente quando negli istituti vengono scoperti dei casi positivi. Sta di fatto che questi casi, in qualche modo, compaiono. A quel punto, con questi test a tappeto, cerchiamo di capire quanto il virus si sia diffuso. Non mi faccio alcuna illusione: i test di massa, di per sé, non impediscono al Covid di entrare negli istituti".
Quanti, fra gli ospiti morti nelle case anziani o nelle case di cura, non sono stati ospedalizzati. E perché?
"Non sono in grado di darle una percentuale ma secondo la nostra esperienza, molto spesso il motivo che sta dietro alla mancata ospedalizzazione è semplice: sono gli stessi ospiti che non la volevano".
È dunque sbagliato immaginare una sorta di triage, di selezione precoce, sulla base delle condizioni di salute di pazienti negli istituti?
"Non c'è una selezione precoce. Basandomi sulle informazioni a mia disposizione e sugli istituti che conosco di persona (confrontati con situazioni simili ancor prima che comparisse il Covid) succede questo: il personale curante chiede e raccoglie le volontà degli ospiti in caso di necessità di cure ospedaliere e molti, per esempio, rispondono "Ormai mi trovo qui, so che la mia speranza di vita non è particolarmente lunga, rinuncio all'ospedalizzazione o alle cure intense".
Lei dunque esclude qualsiasi selezione precoce, magari per non sovraccaricare il sistema ospedaliero?
"Non ne sono a conoscenza. Gli ospedali, inoltre, sono sì sotto pressione ma i posti non sono esauriti. Non ci sarebbe dunque nemmeno ragione per operare una selezione dei pazienti già negli istituti".