Il potenziale degli impianti solari alpini è molto più basso del previsto: Axpo stima che la produzione sarà di quattro volte inferiore alle attese nel 2030 e ancor di più a lungo termine. Per il 2050 si parla nelle nuove valutazioni di 0,81 terawattora invece di 10. Il ridimensionamento delle aspettative viene spiegato dalle opposizioni delle organizzazioni per la protezione del paesaggio e della natura e con i costi di costruzione molto più elevati in montagna, dove il clima è più rigido. Il Parlamento aveva varato una legge per incentivare questi parchi solari, ma le scadenze previste appaiono oggi poco realistiche. Interrogato dai domenicali Le Matin Dimanche e SonntagsZeitung che hanno svelato le nuove stime, il capo del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni, Albert Rösti, conferma le difficoltà ma afferma anche che “ogni installazione costruita dà un contributo in più”.
Per Claudio Caccia, rappresentante per la Svizzera italiana di Swissolar, l’Associazione svizzera dei professionisti dell’energia solare, sono mali di gioventù. Conferma che “in alta montagna bisogna investire di più” perché gli impianti resistano a forti venti e neve. “Il senso di questi impianti è di produrre durante l’inverno, quindi bisogna vedere questi maggiori costi anche nell’ottica di maggiori bisogni”, afferma interpellato dal Radiogiornale della RSI.
Secondo Caccia, “la tecnologia aiuterà in parte, ma si tratterà soprattutto di trovare soluzioni replicabili, che permettano di non dover reinventare i calcoli ogni volta”. Inizialmente, ricorda, anche gli impianti idroelettrici in montagna avevano conosciuto difficoltà da cui si è poi imparato molto. “Siamo in una fase iniziale, non si conoscono molte esperienze di situazioni del genere perché anche all’estero gli impianti del genere sono stati posati su zone alpine. Stiamo facendo da apripista ma dobbiamo proseguire”.