Analisi dati

In Svizzera nessuna ondata di disertori

Centinaia di ucraini in età da arruolamento cercano protezione ogni mese, ma non si è assistito a un’impennata - A fine gennaio gli statuti S erano 65’587, il picco pare raggiunto, ma arrivi e partenze proseguono. Crescono tempi di esame e decisioni negative

  • 22 febbraio, 12:35
  • 24 aprile, 08:55
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Profughi ucraini in un centro di accoglienza a Gland nel maggio 2022: gran parte dei beneficiari di statuto S è giunto in Svizzera nei primi mesi dopo l'invasione

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Di: Stefano Pongan 

“Circa 6’000 uomini lasciano il Paese ogni giorno per sottrarsi al fronte”, ha dichiarato in dicembre in un’intervista Ihor Matvichuk, capo delle guardie di confine ucraine. Difficile dire se i numeri siano davvero così importanti, ma certo Kiev è confrontata con crescenti difficoltà nel reclutare soldati, la piaga delle esenzioni mediche a pagamento ha indotto il presidente Zelensky a sostituire lo scorso anno i responsabili regionali del reclutamento e a fine estate Kiev aveva chiesto ai Paesi europei, Svizzera compresa, assistenza giudiziaria nella caccia ai disertori. Attualmente l’età per il reclutamento immediato in Ucraina è fissata a 27 anni, che con la proposta di legge ancora da approvare da parte della Rada potrebbero scendere a 25. Va però anche ricordato che il giorno stesso dell’invasione russa, il 24 febbraio 2022, era stato decretato in Ucraina il divieto di espatrio per i cittadini maschi fra i 18 e i 60 di età, con eccezioni ad esempio per gli invalidi e per i padri con tre o più figli. Tutti questi, anche se non ancora incorporati, rimangono quindi, per così dire, in “stato di allerta”. Ma quanti sono arrivati in Svizzera? E davvero si constata un maggiore afflusso in questi mesi, dopo la fallita controffensiva estiva e le sanguinose battaglie di Bakhmut e Avdiivka?

“Non rileviamo statisticamente i motivi di fuga”, ci ha risposto la SEM il 16 febbraio, “e non possiamo dire quanti uomini abbiano lasciato l’Ucraina per sottrarsi al servizio militare. Le domande di statuto di protezione, tuttavia, sono rimaste più o meno stabili negli ultimi mesi”. Nella seconda parte dello scorso anno - nella classe di età citata - sono comprese fra le 359 di giugno e le 602 di ottobre.

Basandosi sulle cifre riportate sul sito della Segreteria di Stato della migrazione e su quelle forniteci su richiesta è possibile ricostruire l’evoluzione dei permessi dopo l’11 marzo 2022, quando il Consiglio federale decise di ricorrere allo statuto S per gli ucraini.

E basta uno sguardo per rendersi conto che anche fra gli uomini in età lavorativa (18-64 anni) il periodo di afflusso maggiore è stato quello iniziale, quei tre mesi di due anni fa in cui il numero degli ucraini in Svizzera arrivò rapidamente a superare quota 50’000. In termini assoluti si può quindi presumere che anche chi non intendeva combattere per Kiev abbia fatto le valigie soprattutto nei primi mesi di guerra.

Cionondimeno, nei numeri si intravvede qualche segnale di una maggiore presenza maschile fra quanti si sono rifugiati nella Confederazione dall’inizio dello scorso anno: a inizio conflitto, negli arrivi la proporzione era di più di quattro donne in età lavorativa per ogni uomo, oggi i due dati sono ormai molto vicini. Inoltre, dal gennaio 2023 al gennaio 2024 si è passati da 63’964 a 65’587 permessi attivi, una differenza di 1’623 unità interamente ascrivibile ai maschi fra i 18 e i 64 anni, aumentati da 10’727 a 12’698 (+1’971).

Il quadro generale: totali stabili, ma i movimenti proseguono “contrariamente alle attese”

Dall’inizio del conflitto e fino a oggi la Confederazione ha accordato 90’295 permessi. C’è però anche chi rientra in patria e rinuncia allo statuto e chi se lo vede ritirare. Così in gennaio i casi di protezione attivi erano come detto 65’587, dopo tre mesi consecutivi di lieve calo.

Il picco è stato toccato in ottobre con 66’143 permessi attivi. Una prima flessione si era già verificata fra marzo e giugno del 2023, ma sostanzialmente da un anno e mezzo a questa parte arrivi e partenze non si discostano di molto fra loro e la situazione può dirsi stabile nel suo complesso.

Aumentano tempi di attesa e decisioni negative

Tuttavia, i movimenti in un senso e nell’altro proseguono e quasi 5’000 dei beneficiari attuali sono arrivati in Svizzera negli ultimi sei mesi. “Dall’estate del 2023, contrariamente alle attese, le domande di concessione di uno statuto S sono rimaste su un livello elevato”, ci dice la SEM, e “constatiamo un aumento dei movimenti secondari (...), vale a dire da parte di persone che dispongono già di un permesso di soggiorno o di uno statuto di protezione (valido o scaduto) in un altro Paese”.

Questo spiega il divario che si verifica da inizio anno fra i permessi richiesti e i nuovi permessi concessi, da gennaio scesi quasi a zero. Anche perché, aggiunge la SEM, “le domande sono spesso depositate senza prova sufficiente di un domicilio in Ucraina prima del 24 febbraio 2022”, giorno dell’invasione russa, e questa è una condizione imprescindibile per la concessione dello statuto. “Il numero elevato di domande, associato al bisogno di chiarimenti supplementari”, fa quindi sì che “le procedure si allunghino e di conseguenza aumenti il numero dei dossier in sospeso”.

A precisa domanda, non si conferma nessun legame con la questione dei rom della minoranza ungherese in Transcarpazia (regione dell’Ucraina occidentale al confine con l’Ungheria), che ha tenuto banco ultimamente su diversi media svizzero-tedeschi con sospetti di abuso dello statuto S, tanto che nella politica federale si sono levate voci affinché vengano esclusi dallo stesso. Ma la SEM interrogata in proposito ribadisce il concetto precedente: aumentano le domande secondarie, sono necessari chiarimenti supplementari, i tempi si allungano.

Fatto è che il numero di pratiche esaminate è oggi basso rispetto al totale di quelle presentate (276 a fronte di 1’487 domande in gennaio) e che il numero di decisioni negative si è impennato. Il tasso di concessione di protezione è sceso al 65,7% in gennaio, contro l’86,3% di dicembre e il 90,7% di novembre. Sull’insieme del 2023 superava il 95%.

Protezione garantita fino al 4 marzo 2025

Un sondaggio condotto fra marzo e maggio del 2023 su incarico della Segreteria di Stato della migrazione e dell’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati indica che un terzo degli ucraini in Svizzera spera di restarci, che altrettanti auspicano di rientrare un giorno alle proprie case e che il 40% è indeciso. Lo statuto S implica in linea di massima che alla sua abrogazione i beneficiari tornino in patria. La Legge sull’asilo prevede all’articolo 74 che “se dopo cinque anni il Consiglio federale non ha ancora abrogato la protezione provvisoria, le persone bisognose di protezione ottengono dal Cantone un permesso di dimora valido fino all’abrogazione della protezione provvisoria”. Dopo 10 anni in Svizzera, poi, “il Cantone può accordare un permesso di domicilio”.

Il 1° novembre il Consiglio federale ha stabilito che, in assenza di una stabilizzazione della situazione in Ucraina, lo statuto S per i profughi non sarà revocato prima del 4 marzo 2025. Per la prima volta, inoltre, ha stabilito un obiettivo per l’integrazione nel mercato del lavoro: entro la fine di quest’anno si intende far sì che il 40% delle persone con statuto S in età lavorativa svolga un’attività lucrativa. Nel contempo, il Consiglio nazionale ha recentemente deciso che i rapporti di lavoro non devono più essere autorizzati ma solo annunciati. Per questa misura - che farebbe risparmiare dalle quattro alle sei settimane - manca l’avallo degli Stati.

Il traguardo del 40% è ancora piuttosto lontano: i dati ufficiali dicono che dal 6,4% del primo rilevamento disponibile nel giugno 2022, si è progressivamente saliti fino a un tasso di occupazione del 21,9% nel gennaio di quest’anno. Gli uomini (25,2%) trovano un impiego più facilmente delle donne.

Facendo un bilancio di quasi due anni di statuto S, diverse associazioni attive nel campo dei diritti dei rifugiati hanno sottolineato mercoledì in una conferenza stampa la debolezza di questo strumento giuridico concepito dalle autorità federali in modo da essere orientato al rimpatrio, pur garantendo nel frattempo il diritto di soggiorno, di alloggio, di assistenza, di accesso alle cure mediche e di scolarizzazione dei bambini, oltre che di impiego. La sua provvisorietà e l’incertezza legata al futuro sono un ostacolo all’integrazione, anche professionale, ha ricordato Cesla Amarelle, professoressa di diritto all’università di Neuchâtel ed ex consigliera di Stato e consigliera nazionale socialista vodese. È quindi imperativo fare chiarezza, anche se fra le alternative citate, il permesso F di ammissione provvisoria è giudicato altrettanto problematico perché a sua volta precario.

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