Il quadro legislativo svizzero non basta a contrastare il fenomeno di chi lascia il paese per andare a combattere a fianco di milizie in Siria o Iraq: è la constatazione dei politici elvetici, sfociata in una raffica di atti parlamentari nel corso della sessione autunnale delle Camere.
"La legge impedisce a chi ha il passaporto rossocrociato di combattere per un esercito estero, ma non vale per gli stranieri domiciliati. Bisogna cambiarla e introdurre sanzioni più severe", auspica per esempio il presidente del PPD Christophe Darbellay, ai microfoni della RSI.
In particolare, le norme sono lacunose (e i mezzi insufficienti) per permettere ai servizi segreti di identificare gli aspiranti jihadisti prima della partenza (sono una ventina quelli finiti sotto inchiesta). Sorveglianza e pedinamenti sono molto limitati, riconosce Thomas Hurter, che guida la commissione della sicurezza del Nazionale. Christian Levrat, presidente del PS, dal canto suo mette l'accento sulla prevenzione: ai giovani musulmani vanno offerte prospettive diverse, perché non si lascino sedurre dal fondamentalismo.
La milizia terroristica Stato islamico (ISIS) è vietata in Svizzera. Per il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) può essere considerata tra i gruppi che rientrano nell'ordinanza dell'Assemblea federale che vieta Al-Qaida e le organizzazioni associate.
RG/pon/Red. MM
RG 12.30 del 26.09.14 - Il servizio di Roberto Porta