Sull'onda della pandemia l'uso delle mascherine è ormai parte integrante della quotidianità. Non tutte quelle distribuite in Svizzera, tuttavia, assicurano un'effettiva protezione contro il coronavirus. E la ragione è da ricondurre al fatto che molte di esse, benché dichiarate come dispositivi medici, in realtà non sono tali: proteggono da smog e polveri fini, ma non da agenti patogeni.
È il dato messo in evidenza da un'inchiesta di SRF. "Questo può rappresentare un pericolo: le persone si sentono al sicuro senza esserlo", sottolinea Margit Widmann, esperta di certificazioni di qualità. La Confederazione, nelle circostanze dell'emergenza, aveva fatto arrivare milioni di mascherine prive in realtà di certificazioni sufficienti. Stando al marchio CE impresso sulle confezioni, esse sarebbero conformi allo standard UE come prodotti medici. Ma la realtà è ben diversa: "Se leggo qui in piccolo", osserva Widmann prendendo in esame una di queste confezioni, "trovo il marchio dello standard cinese che indica l'efficacia contro l'inquinamento o contro particelle come quelle della polvere".
Mascherine, insomma, indicate erroneamente come dispositivi medici. Il Dipartimento federale della difesa (DDPS) ha riconosciuto l'errore e si è attivato per verificare se il quantitativo in questione sia già stato tutto distribuito. "Secondo i regolamenti attuali oggi non sarebbe più permesso mettere questa dichiarazione. Nemmeno nel paese di produzione, che è la Cina, sarebbe consentito" rileva Markus Naef, alto ufficiale del DDPS.
Intanto "la situazione per i consumatori è davvero difficile", afferma Michel Pürro, responsabile di Swissmedic per il controllo del mercato, aggiungendo che la sua organizzazione sta facendo tutto il possibile per mettere in atto misure di sorveglianza tese "a garantire che in futuro vengano immessi sul mercato prodotti e dispositivi medici più conformi".
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TG/ARi