Questa potrebbe essere la settimana decisiva per lo sblocco delle trattative tra Svizzera e Unione Europea sull’accordo istituzionale. I negoziati si sono arenati sul punto dolente dei rapporti tra CH e UE: le misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone. Tocca al segretario di Stato Roberto Balzaretti, in visita in questi giorni a Bruxelles, trovare la soluzione in extremis. Eppure stando a uno dei maggiori esperti del tema, il professor Michael Hahn direttore dell'istituto di diritto economico e dell'Europa all'università di Berna, le differenze tra le misure di protezione dei salari in Svizzera e le nuove normative europee, sono minime. Lo ha incontrato il corrispondente RSI a Zurigo Gianluca Olgiati.
Professor Hahn, i rapporti tra Svizzera ed Unione Europea stanno vivendo un periodo complicato. Siamo finiti in un vicolo cieco?
Spesso si può dire solo a posteriori se si è finiti in un vicolo cieco. Speriamo che nelle prossime 3-4 settimane si riescano a togliere le castagne dal fuoco. Credo si possa dire che le parti abbiano finora negoziato un accordo ragionevole e accettabile, ora però mi sembra che le rivendicazioni più che legittime dei sindacati stiano creando più problemi del necessario.
In che senso?
Le richieste dei sindacati e della sinistra sono fondamentalmente condivise dagli altri partiti, ovvero va combattuto il dumping salariale, ma questo è quanto vuole anche l'Unione europea, che negli ultimi anni si è avvicinata di sua iniziativa alla posizione svizzera
Quindi prof. Hahn, lei ci sta dicendo che le normative sui lavoratori distaccati in Svizzera e quelle entrate in vigore in estate nell'Unione Europea di fatto coincidono... se non fosse per la famosa regola degli otto giorni...
Il problema è che questa regola risale ai tempi in cui in ufficio si usava ancora il fax. E quindi otto giorni erano un lasso di tempo ragionevole per permettere di controllare i lavoratori distaccati. Oggi di regola bastano 4-5 giorni. Ma credo che una soluzione ragionevole per tutti sarebbe quella di non più fissarsi sul numero di giorni, ma sullo scopo, cioè quello di proteggere il livello dei salari. Ci vuole quindi un sistema flessibile, basato sull'analisi dei rischi: in certi casi bastano poche ore di anticipo, in altri settori più sensibili invece deve essere possibile richiedere anche di più, fossero anche 60 giorni!
E quante possibilità crede abbia la Svizzera di strappare un accordo del genere?
Prima di tutto noi siamo la Svizzera e dobbiamo spiegare all'Unione *uropea che vogliamo essere in linea con le loro normative, che però di per sé non valgono per noi, possono sempre esserci eccezioni, come il sistema flessibile di cui parlavo prima.
Una proposta che però non sembra rientrare nel mandato negoziale affidato al consiglio federale. C'è la famosa linea rossa. E i sindacati non sembrano disposti a cedere…
Ed è una tragedia, perché i sindacati e il Partito socialista rischiano di essere i grandi ostruzionisti, coloro che bloccano il rilancio della via bilaterale. Ed è un ruolo che non si meritano. In secondo luogo per i lavoratori è importante che la Svizzera abbia relazioni chiare e regolate con il mercato dove esportiamo oltre la metà dei prodotti. Se fossi un consigliere dei sindacati o dei socialisti direi loro che davanti all'elettorato non conviene mostrarsi come coloro che per motivi simbolici hanno impedito una svolta ragionevole alla via bilaterale.