Il motto "Il Tibet ha bisogno di dialogo" (fra Pechino e il Dalai Lama) ha accompagnato le centinaia di persone che questa domenica mattina hanno manifestato a Berna nel giorno dell'arrivo in Svizzera del presidente cinese Xi Jinping. Un loro appello sarà consegnato alla delegazione cinese attraverso il Dipartimento federale degli affari esteri. I manifestanti hanno chiesto la fine delle torture agli oppositori (oltre 2'000 gli arresti denunciati dal 1992) e la possibilità per le agenzie dell'ONU di visitare tutta la regione per valutare la situazione.
La protesta, svoltasi nella calma, è stata tuttavia caratterizzata da un gesto pericoloso. Un tibetano infatti, si era cosparso il corpo con un liquido infiammabile. Gli agenti delle forze della sicurezza lo hanno bloccato prima che potesse darsi fuoco, e lo hanno in seguito condotto in ospedale.
La dimostrazione si è tenuta prima di pranzo quando Xi Jinping era ancora in volo a destinazione di Zurigo e a rispettosa distanza da Palazzo federale. Era questo il compromesso raggiunto dalle autorità federali, cantonali e comunali con la comunità tibetana. Si sono così voluti preservare tanto la sicurezza (chiuse la piazza stessa e diverse stradine dei dintorni) quanto il rispetto della libertà di espressione, ma soprattutto i buoni rapporti con l'ospite. Si ricorda ancora infatti l'incidente diplomatico del 1999, quando le proteste pro-tibetane misero davvero di cattivo umore l'allora numero uno cinese Jiang Zemin.
Nel pomeriggio, tuttavia, i membri di un'altra associazione hanno inscenato un'altra dimostrazione, non autorizzata, nei pressi della Piazza federale. Dopo circa tre quarti d'ora è intervenuta la polizia, fermando 26 persone che si rifiutavano di lasciare la zona malgrado le ingiunzioni. Le severe misure di sicurezza adottate nella capitale hanno fatto sì che il presidente cinese non si sia accorto di nulla.
RG/ATS/pon
DAL TG20.