Quaranta per cento di ucraini in età lavorativa con un impiego entro la fine del 2024: è l’obiettivo che il Consiglio federale si è prefissato all’inizio di novembre dello scorso anno, quando aveva pure deciso che, in assenza di novità significative dal fronte, lo statuto S di cui dispongono attualmente circa 64’000 persone nella Confederazione non sarebbe stato soppresso prima del 4 marzo del 2025.
Il traguardo sembra ancora lontano, anche se il trend è positivo: secondo le statistiche ufficiali della SEM (Segreteria di Stato della migrazione), a fine marzo il tasso era del 23,6%, con un aumento di otto punti esatti in un anno. Un dato che nasconde tuttavia differenze significative: fra uomini (26,8%) e donne (22,1%) ma soprattutto da un cantone all’altro. E il Ticino con un tasso dell’11,2%, addirittura in calo rispetto a febbraio, è quasi il fanalino di coda. Fa peggio solo Ginevra, con il 10,8%.
Il primato spetta ad Appenzello Interno, con il 51,3%, e non sono pochi i cantoni oltre il 30%, fra gli altri i Grigioni con il 32,2%. Nella parte bassa della graduatoria figurano diverse regioni di frontiera: Vaud, Neuchâtel, Vallese, Basilea Città, Giura. Risalendo indietro nel tempo, la posizione ticinese è sempre stata nelle parti basse della classifica.
Nel dettaglio, a fine marzo erano 2’609 i permessi S accordati a persone stabilitesi in Ticino. Di queste, 1’487 sono uomini e donne considerati in età lavorativa (fra i 18 e i 64 anni), solo 167 dei quali con un posto di lavoro.
“Le cifre della SEM contemplano unicamente le autorizzazioni per attività lucrative rilasciate dall’Ufficio della migrazione”, dice alla RSI Renzo Zanini, responsabile dell’Ufficio cantonale richiedenti l’asilo e rifugiati. “In questa statistica non figura, ad esempio, il telelavoro per ditte estere”. Secondo Zanini, quella del lavoro in remoto è un’attività presente “in tutta la Svizzera e anche in Ticino. Ci sono diverse persone che svolgono questo genere di impiego a distanza, il quale non è sottoposto all’Ufficio della migrazione”. In Ticino il 16% dei profughi risulta inoltre economicamente indipendente. “Come a Ginevra, anche il nostro cantone subisce il fattore della vicinanza alla frontiera - rileva Zanini -. Quindi c’è l’effetto del frontalierato, che è molto importante da noi. In aggiunta c’è anche la questione della lingua, per lavorare in Ticino occorre parlare italiano e se si impara questa lingua per lo più si riesce a lavorare solo qui”.
Entro fine anno la Confederazione chiede, come detto, che si raggiunga quota 40%: “L’obiettivo, per ammissione della stessa SEM, è molto ambizioso. Al momento non è ancora chiaro come bisognerà misurarlo. Se sarà riferito solo alle persone in età lavorativa o al totale dei profughi attribuiti. Ma soprattutto se sarà riferito alle persone economicamente indipendenti o a quelle economicamente attive”.
Il consigliere federale Beat Jans si è detto favorevole nelle scorse settimane a concedere un permesso B (di soggiorno) a quanti si sono integrati, trovando un impiego e imparando una lingua nazionale. Una proposta che divide la politica ma che darebbe maggiori certezze alle aziende che assumendo personale ucraino non rischierebbero di vederlo partire improvvisamente quando lo statuto dovesse essere soppresso.
RG 12.30 del 27.04.2024 Il servizio di Luca Berti
RSI Info 27.04.2024, 13:03
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