A metà ottobre il Consiglio di Stato ha presentato un piano di risparmio da 134 milioni di franchi con interventi mirati, che toccano diversi settori e lasciano il segno. Dai partiti nasce un coro di critiche, alcune prevedibili e altre meno. Christian Vitta, direttore del Dipartimento finanze ed economia del Canton Ticino, è stato intervistato martedì sera da Reto Ceschi a “60 Minuti” per fare un punto sulla situazione.
È passato quasi un mese dall’annuncio della manovra di rientro da 134 milioni. Lei ha chiesto alla politica di fare fronte comune per risanare le finanze del cantone. La risposta è stata un coro di critiche da parte dei partiti. È preoccupato?
“Di fronte a operazioni complesse e una manovra di riequilibrio dei conti, rientra nella logica delle cose che vengano avanzate delle critiche. Ora occorre sedersi al tavolo e prendere misure concrete perché un riequilibrio delle finanze si fa con un’azione concreta, che è proprio quello che ci ha chiesto il popolo”.
Il suo partito, il PLR, ha detto: “questa manovra è il risultato di una politica con una scarsa visione d’insieme e nessun impulso rinnovatore”. Un giudizio severo. La colpisce?
“Le critiche fanno parte del gioco politico. Quello che conta è che intorno a un tema come quello del risanamento finanziario si vada oltre alle logiche di partito ed è necessaria una responsabilità collettiva: il governo – da solo – non ha abbastanza strumenti. Vi sono modifiche legislative, come ricorso al referendum e quindi la responsabilità collettiva chiama in gioco tutti gli attori, della politica ma anche della società civile”.
Sta dicendo quindi che è normale che ci siano critiche, ma è strano che ci siano anche da parte di partiti che sostengono che sia centrale il riequilibrio delle finanze del cantone?
“Ognuno si sta posizionando, ma bisogna andare oltre. Se guardiamo al passato, critiche di fronte a questo genere di manovre ci sono state e potrei scommettere che ce ne sarebbero anche nel caso in cui queste cose avvenissero in futuro”.
Torniamo alla manovra: non avete fatto tagli lineari ma dove intervenite fa male: sui dipendenti pubblici, sui beneficiari di sussidi di cassa malati , invalidi, eccetera. Non c’era un’altra strada? L’avete cercata?
“Quando parliamo di misure di riequilibrio finanziario inevitabilmente si fanno degli interventi che creano degli scontenti e fanno magari anche male. Il governo ha lavorato alacremente. Per più mesi ci siamo confrontati, ognuno ha portato in maniera costruttiva la propria visione, le proprie proposte. Questo lavoro di concerto tra consiglieri di Stato ci ha portati a portare un pacchetto di misure che riteniamo essere equilibrato, rispettoso degli indirizzi che la popolazione ci ha dato e allo stesso tempo equo, perché ha chiamato in causa e interessato vari settori. Siamo pronti a confrontarci con i partiti, gli attori della politica, e modificare alcune misure, se questo fosse necessario. Importante mantenere l’obiettivo ben preciso e il quadro di riferimento soprattutto. Sarebbe troppo facile togliere delle misure ma non trovarne altre, sostitutive”.
“Esercizio a 360°, tutti i dipartimenti sono stati toccati”. Tutti soffriranno, ha detto lei. Sarà così? Basta questo come motivazione?
“Questo è il segnale forte che la situazione richiede un intervento, non si risolve da sola. Il governo è consapevole della necessità d’azione e ha messo sul tavolo una proposta che può essere dibattuta ma che poi dovrà portare all’obiettivo di riequilibrare le finanze”.
C’è chi ha detto: il governo colpisce chi è già in difficoltà. Una critica severa. Cosa risponde?
“Abbiamo cercato di lavorare in maniera equilibrata, tenendo conto delle varie necessità. Vorrei ricordare che stiamo parlando di una manovra di riequilibrio dei conti. In realtà parliamo di un rallentamento della crescita della spesa, se prendiamo il complesso delle spese, aumenteranno dell’1,5% - meno dell’inflazione, ma pur sempre un aumento. Non parliamo di tagli in valore assoluto. In questo senso è un esercizio complesso perché viviamo un periodo marcato dai rincari, marcato da una certa tensione internazionale che si ripercuote anche sulla nostra economia e fa contrarre la crescita delle entrate. Non è facile, ma lo sforzo va fatto nell’interesse del Paese. Avere le finanze in equilibrio è la miglior risposta che lo Stato può dare in momenti di difficoltà, lo abbiamo visto con il Covid”.
Meglio intervenire oggi che domani. È un velato avvertimento ai partiti, anche quelli di governo, che la criticano?
“Condivido che sia necessario intervenire oggi e non rinviare un compito che va fatto. Oggi lo Stato del Canton Ticino paga per il suo debito finanziario oltre 20 milioni di franchi, senza correttivi, in pochi anni questo onere finanziario sugli interessi sale fino a 40 milioni. Noi vogliamo evitare di perdere risorse da pagare agli istituti finanziari e non poterle usare per servizi e prestazioni a favore del cittadino. Per farlo, in un periodo di crescita dei tassi d’interesse, dobbiamo frenare la crescita del debito pubblico e questo, attraverso misure di riequilibrio finanziario”.
Non si tratta di una manovra contabile, come criticano alcuni. C’è della visione in tutto ciò?
“Se fosse puramente una manovra contabile non ci sarebbero le critiche, perché non toccheremmo nella carne viva. Il fatto che ci siano misure concrete scatena delle critiche. La visione è ritrovare la capacità progettuale che si può avere se ci sono risorse”.
Con il senno di poi, il decreto Morisoli (quello che chiede il pareggio del conto economico entro il 31.12.2025) sta diventando una trappola per il Ticino?
“Dobbiamo fare chiarezza sul quadro di riferimento. A guidarci oggi è il freno ai disavanzi, meccanismo presente nella Costituzione del Canton Ticino. Questo meccanismo ci dice che entro la fine del 2025 bisogna recuperare questo equilibrio finanziario per rispettare i parametri. Quanto ha votato recentemente il popolo ha dato un indirizzo su come arrivare lì, mettendo l’accento sul contenimento della spesa ed evitando un aumento delle entrate. In questo senso c’è l’indirizzo. Oggi si tratta di passare alle misure concrete, ed è in questo contesto che nascono divisioni, critiche e confronti. Avessimo lavorato sulle entrate maggiormente, le critiche sarebbero arrivate dai fronti opposti”.
Come andrà a finire secondo lei? Che si voglia o no bisognerà risparmiare?
“Per risparmiare si intende il rallentamento della crescita della spesa e riformare laddove necessario. Lasciare andare le cose senza intervento vuol dire aumentare il debito pubblico, avere finanze in disequilibrio, e in Svizzera - come in Ticino - c’è principio di avere un certo rigore e una certa attenzione. Riformare vuol dire permetterci di mantenere dei meccanismi nel tempo. Vorrei fare un esempio: si è parlato molto degli interventi sui sussidi di cassa malati. Oggi se guardiamo i sussidi a favore dei premi di cassa malati, ci sono gli aiuti per chi ha le prestazioni complementari e i sussidi ordinari. Se sommiamo queste due voci arriviamo a poco meno 400 milioni di franchi di sussidi lordi. Stiamo parlando di circa il 10% del totale delle spese del cantone. Dobbiamo rendere sostenibile questo meccanismo di aiuto nel tempo. Bisogna intervenire per correggere la crescita e permettere di continuare a erogare importanti sussidi a quelle fasce di popolazione che ne hanno bisogno”.
Sta dicendo “se volete che questi sussidi durino nel tempo bisogna darne meno adesso”?
“Bisogna rallentarne la crescita. Nel preventivo 2024 l’aumento è di 30 milioni per i sussidi elargiti, già tenendo conto della misura introdotta. Senza di essa sarebbe ancora maggiore. Se nel tempo il meccanismo è insostenibile a pagarne sono tutti, e soprattutto chi di questi sussidi ha tanto bisogno”.
La quantità di sussidi elargiti a tante persone è sintomo di una fragilità del tessuto sociale ed economico del cantone a cui lo Stato supplisce. Questo stato di difficoltà è piuttosto presente, ve ne rendete conto?
“Siamo consapevoli di questa situazione. Se prendiamo il tema dei sussidi di cassa malati non dobbiamo dimenticare che il Ticino ha i premi di cassa malati più alti, che incide sul volume dei sussidi erogati. Siamo in un contesto in cui la società cambia rapidamente, le esigenze cambiano rapidamente e i meccanismi del sistema democratico non permettono sempre alla politica di poter reagire in maniera tempestiva e flessibile ai bisogni della società”.
Il peso del contesto, anche quello internazionale. Quanto incide? Non lo state sopravvalutando?
“Il Ticino, così come altre regioni e nazioni è influenzato dal contesto mondiale. Stiamo attraversando una fase storica molto delicata. In pochi anni siamo passati da una pandemia all’arrivo della guerra a paesi noi vicini, è tornata l’inflazione, il costo dell’energia è aumentato. C’è un’instabilità mondiale, un riassetto geopolitico nei servizi. Questi creano instabilità e insicurezza che si riflettono sulla nostra realtà, pensiamo all’esportazione, al franco svizzero. Tutto ciò incide sugli introiti fiscali del cantone”.
Come sta l’economia reale? Abbiamo notizie di aziende importanti che riducono l’organico (cito la Helsinn e la TurboMach... Quest’ultima ha l’intenzione di delocalizzare parte della produzione). È preoccupato?
“Dobbiamo contestualizzare. Come ho detto prima, il contesto di forte incertezza fa sì che le industrie che esportano risentano della situazione. Il franco forte non aiuta, e le aziende sono più soggette a fluttuazioni nell’organico. In Ticino negli ultimi anni l’occupazione è cresciuta, oggi abbiamo oltre 260’000 occupati e i dati della disoccupazione SECO e ILO hanno registrato una tendenza al ribasso. Il mercato del lavoro tiene, l’economia nel suo insieme subisce per il rallentamento a livello internazionale”.
La situazione rispetto ai salari è qualcosa che lei dal suo osservatorio riesce a monitorare come sana o gli squilibri sono ancora tanti?
“Ci sono settori che soffrono una pressione sui salari, di questo dobbiamo essere consapevoli. Siamo una regione di frontiera, per cui questo tema è centrale. Quando parliamo del mercato del lavoro dobbiamo considerare gli aspetti quantitativi - come il numero di posti di lavoro, il grado di occupazione - ma anche quelli qualitativi. Il mercato del lavoro, infatti, cambia rapidamente. Le generazioni giovani chiedono altro: non necessariamente vogliono lavorare al 100% e da noi vi è questa pressione sui salari in determinati settori. Bisogna lavorare in concerto con Berna e in dialogo con la regione Lombardia”.
Quanta pazienza ci vuole a fare il consigliere di Stato responsabile delle finanze in un cantone che fa più fatica degli altri?
“Tanto impegno e costanza. Poi è necessario avere una responsabilità collettiva se si hanno a cuore le finanze del nostro cantone, che sono in realtà le finanze di tutti i cittadini. Tutti gli attori devono condividere la responsabilità: il governo da solo non riesce a portare avanti tutte le misure necessarie, serve la collaborazione. Uno Stato sano in grado di far fronte ai bisogni della propria cittadinanza è credibile e noi come Stato, come Ticino, vogliamo rimanere credibili”.