“Sembra che tutti i dati convergano verso la discesa dall’ondata influenzale”. Parola di Giorgio Merlani, medico cantonale. Dicembre e il gennaio ancora in corso in Ticino sono stati infatti contraddistinti da un’importante circolazione di virus respiratori.
“I numeri sono in effetti abbastanza importanti – ci conferma Merlani –. Fino a Natale/Capodanno era praticamente solo Covid, che ha continuato a non mollare la presa dopo che era iniziato ad aumentare in ottobre. Da allora abbiamo avuto un altopiano che è continuato in novembre e poi ancora a dicembre. Tra l’altro abbiamo avuto anche diverse varianti che si sono susseguite, poi dopo il Natale ha cominciato a rallentare un po’, proprio in concomitanza con l’arrivo dell’influenza, che attualmente ha superato numericamente anche il Covid. Sulle analisi svolte circa il 30-35% riguardano attualmente l’influenza, mentre il Covid si ferma al 10-15%. Il resto è invece dato da vari virus e ovviamente dai risultati negativi alle analisi.
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Per quanto riguarda gli ospedali, la pressione c’è stata, “però non ha mai rischiato di mettere veramente in difficoltà il sistema e non abbiamo dovuto sospendere ricoveri di altro genere o rinviare operazioni per poter tenere liberi i letti. Fortunatamente all’aumento delle influenze è corrisposto il rallentamento del Covid, quindi l’operatività è sempre stata abbastanza gestibile” contestualizza Merlani.
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Influenze forse più lunghe, ma non più gravi
Sull’impatto di questa ondata influenzale Merlani non può ancora formulare grandi analisi, anche se dalle osservazioni e dalle segnalazioni si constata che in molti casi le persone sono rimaste sintomatiche a lungo. “Anche alcuni datori di lavoro lamentano che le assenze, se in passato erano di 3-4-5 giorni, adesso sono invece di 6-7-8 giorni. Però a livello di ospedali non abbiamo un numero di ricoveri di molto più alto e nemmeno risulta un aumento dei casi più gravi. A livello di impatto quindi se intendiamo la gravità come ‘è, un po’ più fastidiosa e un po’ più lunga’, allora forse è più grave, ma dal punto di vista medico – considerando quindi ricoveri e decessi – non abbiamo per ora conferme in questo senso.
Ora l’impressione, dopo il calo a livello ambulatoriale, dopo quello riscontrato nelle acque reflue e nelle analisi di laboratorio, è che anche gli ospedalizzati a causa dell’influenza inizino ad assestarsi e a scendere: “È un po’ la meccanica imparata durante la pandemia: prima calano i casi ambulatoriali, poi i dati di laboratorio e infine anche le ospedalizzazioni” aggiunge il medico cantonale.
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Il picco (forse) superato e l’incognita Covid
Buoni segnali quindi, anche se la stagione fredda è ancora lunga e potrebbe riservare sorprese: “Prima di tutto dobbiamo confermare che il picco influenzale sia veramente nella fase discendente, anche perché come ondata risulterebbe piuttosto corta rispetto a quello che di solito ci attendiamo. Un altro aspetto a cui fare attenzione è che lo scorso inverno abbiamo avuto due picchi influenzali, un primo di influenza A e poi un secondo di influenza B che, seppur più basso e meno grave, c’è stato. Anche quest’anno potremmo quindi incontrare questa spiacevole sorpresa”.
E possibili incognite potrebbe riservarle anche il Covid, “anche perché io del coronavirus non mi fido mai, per dirla fuori dai denti… perché se dovesse saltare fuori l’ennesima nuova variante che magari sfugge un po’ all’immunità, trovandoci ancora nella stagione invernale, la strada a qualunque tipo di infezione respiratoria, soprattutto virale, è spianata e si potrebbe ripartire. Attualmente però di indizi in questo senso non ne abbiamo, quindi possiamo vivere al momento in una discreta tranquillità, ma accompagnata come sempre da una vigilante sorveglianza” sottolinea Merlani.
Covid, un virus ormai endemico che “ci ha purtroppo insegnato poco”
Il Covid, al di là di possibili mutazioni future, è comunque ormai gestito come le altre malattie endemiche con le quali da tempo conviviamo. Preoccupazioni finite quindi? “No, il fatto che sia endemico non vuol dire che non mi preoccupa. Ovviamente è un altro tipo di preoccupazione rispetto a quella precedente, ma anche l’influenza mi preoccupava già prima del 2020, considerato che è un virus che puntualmente arriva e che nelle persone vulnerabili e fragili può fare dei grandi danni, oltre ad arrecare sempre agli ospedali una grossa mole di lavoro e una complicazione della gestione dei casi. Quindi per riassumere sì, ci arrendiamo all’evidenza che è diventato un virus endemico dal quale non ci libereremo così facilmente, ma attualmente non è nemmeno un virus che impone delle contromisure esagerate in termini sociali, economici e quant’altro. Insomma, il mondo ha accettato che con alcune malattie infettive si convive e si tollerano di conseguenza alcuni effetti di queste malattie per poter continuare a vivere in modo più normale possibile”.
Resta poi una considerazione finale, che spesso aleggia anche tra gli operatori sanitari: in 2-3 anni siamo passati dal chiuderci in casa 5 giorni al primo starnuto e dalle mascherine onnipresenti, a nessuna regola, con la conseguente facile e rapida diffusione dei virus. Non avremmo forse dovuto mantenere qualche corretta abitudine in più? “Guardi, se chiede a me sfonda una porta aperta. Bisogna però forse fare una piccola premessa.
È vero che in 2-3 anni siamo passati da un estremo all’altro, ma anche la situazione è radicalmente cambiata. Non dimentichiamoci che inizialmente era un virus nuovo, per il quale nessuno era immune e non avevamo nessuna contromisura. Adesso abbiamo invece una popolazione che in oltre il 98% dei casi ha una qualche forma di immunità (infezioni pregresse, vaccinazioni). Ciò non vuol dire che non ci si ammala, ma ci si ammala senza fare una malattia a decorso letale. Adesso sarebbe quindi sproporzionato mettere in atto delle misure della prima ora pandemica”.
“Fatta questa premessa, devo ammettere che anch’io sono però un po’ stupito in questo senso: mi illudevo che dall’estremo Oriente, come ad esempio dai giapponesi, perlomeno qualcosa avremmo imparato, e penso in particolare al rispetto collettivo e al senso di responsabilità. Insomma, detta altrimenti, il fatto di dirsi ‘oggi non vado a lavorare non solo per riposarmi perché ne ho bisogno io, ma anche perché così non infetto i miei colleghi. Invece queste abitudini sono durate lo spazio della pandemia e adesso si torna a dire ‘no no, vado a lavorare lo stesso perché se no miei colleghi devono fare il doppio lavoro’. No, non è così e sarebbero certamente più contenti se stai tre giorni a casa e non sei più contagioso quando vai a lavorare, è così che li aiuti davvero, perché andandoci da sintomatico li infetti tutti e poi mancheranno tutti. Sono tutti aspetti che abbiamo già un po’ perso, come anche l’uso della mascherina quando non stiamo bene evitando di entrare in contatto con le altre persone, ancor più se sono vulnerabili. Purtroppo credevo fosse un mantra che avevamo imparato, invece mi dimostra che la memoria dell’essere umano è molto corta” conclude con un po’ di amarezza il medico cantonale.
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