Non si può dire che i bunker militari non piacciano nella terra dei grotti. “In Ticino finora sono state vendute ben 300 costruzioni e strutture di questo tipo”, afferma Kaj-Gunnar Sievert, il responsabile della comunicazione dell’Ufficio federale dell’armamento, armasuisse.
Nei giorni scorsi ha fatto notizia l’annuncio del capo dell’esercito svizzero Thomas Süssli, secondo cui la vendita ai privati delle installazioni militari dismesse sarà interrotta. La ragione? Va cercata anche nel conflitto in Ucraina, che ha mostrato l’efficacia di una difesa decentralizzata, ha spiegato il comandante di corpo. Da qui il ritorno in gioco delle installazioni da tempo non più utilizzate: “Dobbiamo prendere quello che abbiamo”, ha aggiunto Süssli.
In mano a privati e associazioni
Dietro quelli che per brevità sono chiamati bunker si cela una varietà di costruzioni che vanno dai fortini, ai rifugi, agli alloggi per truppe, ai depositi di munizioni. Molti con un valore storico, poiché risalenti al periodo compreso tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Da qui l’interesse, non solo dei privati, ma dei Comuni e, soprattutto, dei sodalizi (si pensi all’Associazione Opere Fortificate del Canton Ticino FOR TI, che ha acquistato una quindicina di opere declassate tra Rivera, Camorino, Osogna e Biasca, e gestisce il Museo di Forte Mondascia a Biasca).
A monte della vendita di questi bunker ci sono state ragioni economiche, ma non nel senso di voler lucrare. Sul tema armasuisse non si sbottona più di tanto: “Per principio non pubblichiamo i prezzi di vendita - dice il responsabile della comunicazione - . Tutto dipende però dall’utilizzo degli edifici. Poiché l’uso civile dei bunker è praticamente impossibile, il loro prezzo varia da poche centinaia a qualche centinaio di migliaia di franchi”.
All’origine della significativa riduzione dell’infrastruttura militare a partire dalla metà degli anni ’90 c’è stato anche l’orientamento dell’esercito verso gli impieghi più probabili, come la gestione di catastrofi naturali, di emergenze ma anche i compiti sussidiari. Le infrastrutture da combattimento, ricorda il portavoce dell’esercito Mathias Volken, “sono state abbandonate, vendute e parzialmente smantellate su larga scala negli ultimi tre decenni”. Il segnale più evidente di questa metamorfosi è stato lo scioglimento nel 2003 del Corpo di guardia delle fortificazioni.
“L’infrastruttura va nuovamente protetta”
Dall’inizio del duemila, dietro la dismissione c’è stata anche la grande importanza che le forze armate hanno attribuito alle considerazioni economiche. “Gran parte dell’equipaggiamento delle unità è ora immagazzinato nei cinque centri logistici. La gestione avviene in modo più semplice e quindi più economico rispetto alle strutture protette decentrate”, spiega il portavoce.
Adesso, però, il rafforzamento della capacità di difesa impone un dietrofront: “L’infrastruttura logistica dovrebbe essere nuovamente più decentrata e allo stesso tempo più protetta. Inoltre - continua Mathias Volken - la situazione di minaccia rende di nuovo necessaria una maggiore scorta di rifornimenti, soprattutto di munizioni”.
Il recupero di alcune infrastrutture dismesse, perché il loro mantenimento costava troppo, avrà ovviamente un costo. “È prevedibile che un portfolio immobiliare più ampio, dettato da ragioni di sicurezza, comporterà un aumento delle spese di investimento, di funzionamento e del personale”, conclude il portavoce grigioverde.
Bunker militari: l'esercito ci ripensa
Telegiornale 18.09.2023, 20:31