Esattamente 10 anni fa iniziava il conflitto siriano: prima sotto forma di dimostrazioni contro il Governo centrale di Bashar al Assad, poi, dopo pochi mesi, le manifestazioni hanno ceduto il posto a una vera e propria guerra civile. Una guerra che ha provocato circa mezzo milione di morti e costretto 10 milioni di persone a lasciare le loro abitazioni. Nel 2014 la RSI incontrò una delle prime famiglie siriane accolte in Ticino, che allora venne sistemata presso l’ostello di Cavergno, in Vallemaggia. Saliba Toma, il figlio minore, allora aveva 25 anni. A quei tempi auspicava di poter continuare a svolgere il suo lavoro, ossia riparatore di elettrodomestici. Abbiamo rintracciato Saliba, che ora vive a Lugano, che ci racconta: “Ho fatto questo lavoro per 13 anni in Siria, ma qui non sono riuscito: è difficile senza un diploma".
Quando sei arrivato l’italiano non lo sapevi, ora invece lo parli bene…
“Sì, non molto bene, ma quando siamo arrivati a Lugano ho fatto due corsi di italiano, poi ho cercato un lavoro, ora sono aiuto cuoco. Ho un contratto al 20% in un ristorante di Maroggia, prima ho lavorato per un anno alla mensa sociale del Centro Bethlehem, alla Resega. Ho conosciuto Fra Martino Dotta. Quando arrivava chiedeva: ‘Chi ha fatto il risotto?’. Gli rispondevo che ero stato io e allora lo mangiava, gli piaceva molto”.
Tu e la tua famiglia siete di confessione cristiana?
“Sì, ortodossi: parliamo l’aramaico. Ogni tanto andiamo a messa a Lugano” (In Ticino esista una nutrita comunità aramaica, ndr.).
Pensi mai alla Siria?
“Sì, quando penso al passato non è facile… Ogni tanto parlo con i miei amici e ho ancora parenti giù. Un po’ mi manca la Siria, ma non ci possiamo andare, c’è ancora la guerra. Io provengo da un paese sul confine con la Turchia e l’Iraq: ci sono problemi lì in questo momento. In Siria non c’è futuro: siamo arrivati in Svizzera e ora dobbiamo sempre guardare avanti. Ma a causa della crisi del coronavirus sono a casa da dicembre, spero di poter tornare a lavorare il mese prossimo”.