Lunedì, alle Assise Criminali si aprirà il processo per la morte del 44enne del Mendrisiotto, deceduto nell’aprile del 2017 dopo essere stato colpito con un pugno da tergo. Così almeno ritiene il procuratore pubblico Arturo Garzoni, che contro il presunto responsabile ipotizza (in via principale) il reato di omicidio intenzionale per dolo eventuale.
Il 23enne avrebbe sferrato un gancio destro al collo della vittima, ferma in fila. Al pugno sarebbe seguita una spallata, che avrebbe sbattuto l’uomo prima sul cancello, e poi a terra. Per i medici legali Antonio Osculati e Luisa Andrello, nessun dubbio: a livello sottocutaneo c’è traccia del colpo. La botta non fu tale da provocare direttamente la lacerazione dell’arteria vertebrale sinistra, all’origine dell’emorragia cerebrale. Ma il conseguente movimento del collo ruppe la parete del vaso sanguigno. Il tutto anche in ragione del suo diametro, maggiore di quello dell’arteria destra.
Proprio su questo aspetto i difensori del giovane, Yasar Ravi e Luisa Polli, nei giorni scorsi hanno prodotto una perizia di parte, che giunge a conclusioni diverse. Per la dottoressa torinese Valentina Vasino la malformazione congenita causò la rottura spontanea del vaso. Non ci fu alcun contatto con terzi; nemmeno – sottolinea l’esperta – di scarsissima rilevanza traumatica.
Il rapporto conferma insomma quanto dichiarato dall’imputato, che sostiene di non avere neppure toccato il 44enne. A inchiodarlo ci sarebbero però altri elementi, come la testimonianza resa da uno dei buttafuori del locale.
A processo per l'omicidio di Gordola
Il Quotidiano 10.05.2019, 21:00