Suicidio assistito, “tolto il dubbio che possa diventare un’industria”

Ogni anno in Svizzera circa 1’200 persone ricorrono al suicidio assistito: si tratta di una pratica in crescita, anche in Ticino, dove i casi sono una ventina all’anno, ripartiti fra le due principali associazioni che se ne occupano. Per la prima volta negli scorsi giorni è stato accertato che questa pratica - legale in Svizzera - è stata eseguita a scopo di lucro, circostanza proibita dalla legge. Per il presidente della Commissione etica dell’EOC, Mattia Lepori, “sicuramente questa sentenza spazza via il timore che la pratica del suicidio assistito possa diventare un’industria”.

Oltre all’articolo 115 del codice civile, che in modo un po’ vago punisce chi per interessi propri istiga al suicidio, non esiste però una vera legge di applicazione che regoli in modo chiaro questa pratica. Anche sull’opportunità o meno di averla, la commissione etica è divisa: “Regolamentare meglio il suicidio assistito vorrebbe dire definire chi può farlo e con quale metodo - spiega Lepori - Questo si potrebbe farlo, ma la questione sarebbe giudicare chi può accederci: istituire un’autorità morale che vada a giudicare ogni caso ed ergersi a giudice su chi merita o no. Lo trovo molto pericoloso”.

I requisiti per un suicidio assistito in ambito medico, suggeriti dall’Accademia svizzera delle scienze mediche, parlano di una sofferenza del paziente giudicata inaccettabile e di una volontà di morire portata avanti nel tempo. A questi si attengono anche le due principali associazioni che praticano questa attività.

Lepori vede quindi di buon occhio la recente sentenza, che “rafforza la convinzione che per soldi questa cosa non si può fare”.