"Fate come Zugo". Così aveva esortato, la settimana scorsa, il direttore del Dipartimento delle Istituzioni Norman Gobbi in relazione ai dispositivi anti-hoolgan che Lugano e Ambrì dovrebbero adottare. Le due squadre di hockey non hanno finora risposto alla sollecitazione.
Intanto, da sei anni, chi entra nella Bosshard Arena di Zugo per assistere a una partita di hockey in qualità di tifoso ospite, viene fotografato e registrato all'entrata. Una scelta anti-hooligan pionieristica, un modello sul quale fa leva Gobbi, sin dagli scontri di inizio anno alla Valascia che sono poi sfociati in 39 decreti d'accusa a carico di altrettanti tifosi di Ambrì Piotta e Losanna.
"Ho saputo che dal Ticino c'e interesse per quello che facciamo. Per ora nessuno ci ha chiesto dettagli. Il nostro sistema, attraverso il riconoscimento facciale, permette di capire se il tifoso è pregiudicato. E così sappiamo chi c'e tra il pubblico.. se dovesse succedere qualsiasi cosa sappiamo chi è stato", spiega Amin Ghiasi, direttore amministrativo del club di Zugo.
In Ticino, tra club e fans, vi sono molte perplessità in merito al provvedimento: si teme per la privacy, per un rallentamento dell'accesso alle piste e per l'aumento di burocrazia.
"A Zugo è stata una decisione presa in comune con l'ufficio federale di polizia e con il cantone. I fan, certo, all'inizio non erano felici di essere identificati, si preoccupavano per la protezione dei dati ma con il tempo si sono tranquillizzati, hanno capito che la misura aumenta la sicurezza e i dati sono al sicuro", sottolinea Ghiasi, ricordando che oggi i costi di un sistema simile si aggirerebbero sui 5/8'000 franchi.
I club ticinesi, dal canto loro, stanno valutando se e in che modo prendere i provvedimenti, mentre l'entrata in vigore prevista da Gobbi è prevista per la fine del campionato.
CSI/M. Ang.