Suscita opinioni diametralmente opposte l’arrivo di Zalando in Ticino, il colosso dell’abbigliamento online, dopo aver rescisso senza troppi giri di parole il contratto con Ceva logistics (che licenzierà 350 dipendenti a Neuendorf nel Canton Soletta), ora punta verso il Ticino per la sua gestione dei resi. A Sant’Antonino la società tedesca si appoggerà alla statunitense GXO, indagata già per frode fiscale dalla procura di Milano.
Zalando sotto inchiesta per frode fiscale in Italia
SEIDISERA 01.10.2024, 18:20
Le reazioni
La notizia dell’apertura del centro logistico in Ticino è stata salutata con entusiasmo dal padronato: “per il Ticino è un valore”, una buona occasione che genera “200 posti di lavoro in più”, ha dichiarato Roberta Cippà Cavadini, vicepresidente di SpedLogSwiss Ticino, un’associazione che rappresenta le imprese di spedizione e logistica. Il Ticino si presta bene per i servizi, perché “ha gli spazi idonei e dei magazzini estremamente moderni”.
Di tutt’altra opinione è invece Chiara Landi del sindacato UNIA. Normalmente “siamo confrontati con delocalizzazione che vanno al di là dei confini nazionali per trovare manodopera a basso costo: ora la manodopera a basso costo la si viene a cercare qui in Ticino”.
Gruppo GXO sbarca in Ticino: reazioni contrastanti
SEIDISERA 01.10.2024, 18:18
Dove finisce il reso?
A Sant’Antonino la GXO si occuperà di gestire il famoso “reso” di Zalando, ossia i vestiti che, una volta ordinati, vengono rispediti all’azienda dai clienti perché non conformi ai loro desideri.
Il fenomeno dei resi e sprechi nel mondo della moda
SEIDISERA 01.10.2024, 18:23
Stando a Zalando, oltre il 50% dei vestiti che vengono inviati a casa torna indietro. Di questi, il 97% viene poi rivenduto. Per poter rimettere in circolo gli articoli resi, Zalando deve controllare i prodotti, riabilitarli (stirarli, lavarli, pulirli a seconda del prodotto) e impacchettarli nuovamente. Un processo costoso che spesso spinge le aziende a buttare i resi. Infatti, come spiega Claudio Boër, già vicepresidente del Consiglio della SUPSI, “il produttore riesce a produrre tutti questi prodotti con dei margini talmente alti che si può permettere di buttar via i nove articoli rispetto a quell’unico che vende”.
Come uscire da questo circolo vizioso? Secondo Claudio Boër, attraverso la “customization”. Un processo che “coinvolge il consumatore fin dall’inizio del ciclo di vita del prodotto”, permettendogli di “costumizzare” (ossia di personalizzare modificandolo) l’articolo fin da dall’origine della sua produzione.