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Stato-mafia, "Berlusconi sapeva"

Depositate nel giorno dell'anniversario dell'attentato a Paolo Borsellino le motivazioni della sentenza contro chi trattò con Cosa nostra

  • 20 luglio 2018, 07:59
  • 23 novembre, 00:51
01:24

RG 08.00 del 20.07.2018 - La corrispondenza di Claudio Bustaffa

RSI Info 20.07.2018, 09:14

  • Reuters

La Corte d’assise di Palermo ha depositato giovedì, nel giorno del 26° anniversario della strage di Via d’Amelio che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta, le motivazioni della sentenza sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia".

Nel documento di oltre 5'000 pagine i magistrati evidenziano il fatto che l'invito a trattare che i Carabinieri fecero giungere ai vertici mafiosi dopo la strage di Capaci in cui furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della sua scorta costituirebbe il fattore "inedito" che convinse Cosa nostra ad accelerare le tempistiche per l'assassinio di Borsellino.

In seconda battuta si sottolinea il ruolo avuto dall’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri: "Con l’apertura delle esigenze dell’associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell’Utri nella sua funzione d’intermediario dell’imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle elezioni politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Totò Riina nel 1992".

Secondo i giudici che hanno condannato l'ex politico a dodici anni di carcere per minaccia al Corpo politico dello Stato, la disponibilità dell'imputato a porsi come intermediario tra i clan e Berlusconi pose inoltre "le premesse della rinnovazione della minaccia al Governo quando, dopo il maggio 1994, questo sarebbe stato appunto presieduto dallo stesso Berlusconi". La Corte, dunque, ha accolto la tesi della procura secondo la quale Marcello Dell’Utri avrebbe funto da "cinghia di trasmissione" della minaccia di Cosa nostra all'ex premier.

I magistrati siciliani precisano inoltre che per quanto non vi sia "prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa" a Berlusconi, "ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto, di volta in volta, emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra".

ANSA/AGI/Reuters/EnCa

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