#lameteospiegata

La neve, oltre i fiocchi c'è di più

Quando e dove ne cade di più? È vero che non esistono due fiocchi uguali? Nevicherà sempre meno? Cosa sono le idrometeore? La settima puntata di #lameteospiegata

  • 1 gennaio 2023, 07:00
  • Ieri, 14:08
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Il bianco candore della neve polverosa appena caduta

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Di: Dario Lanfranconi 

“Domandarsi perché, quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore…”. Senza scomodare la tristezza, che in questo periodo di Feste dovrebbe essere solo un lontano pensiero, la citazione dal sempre poetico Lucio Battisti (senza dimenticare Mogol) ci aiuta a introdurre il tema della settima puntata della serie RSINews #lameteospiegata.

Lo avrete capito, questo mese vogliamo parlare di neve. Il periodo - anche se guardando fuori dalla finestra non sembra - è infatti quello giusto. Ora il caldo anomalo come un anno fa ha "rovinato la festa" (e le Feste a chi la ama), ma, rispetto allo scorso inverno ultra siccitoso, qualcosa in più ad alte quote perlomeno lo si è visto, soprattutto grazie ai fiocchi caduti a inizio dicembre, fino in pianura il 9 dicembre. Senza contare che al contempo dall'altra parte dell'Atlantico, gli Stati Uniti ne sono invece sommersi. Non perdiamo quindi altro tempo e, come sempre appoggiandoci sull’esperienza di Luca Nisi e di MeteoSvizzera, partiamo in questo bianco viaggio… anche perché, come dice un proverbio cinese, chi cammina sulla neve non può nascondere il suo passaggio.

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La Val Bedretto come si presentava lunedì 5 dicembre

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“Nessun fiocco di neve cade mai nel posto sbagliato”

Che cos’è la neve

Una prima categorizzazione della neve, o meglio del fiocco di neve quella macroscopica che la inserisce nella categoria delle idrometeore, allo stesso modo delle gocce di pioggia e della grandine. “Chiaramente – esordisce Luca Nisi – invece di essere liquida come la goccia di pioggia, si trova in uno stato solido in quanto si tratta proprio di un cristallino di ghiaccio. Fisicamente si tratta di acqua ghiacciata sotto forma di una composizione di minuscoli cristalli di ghiaccio molto molto più piccoli, dalle forme più strane e anche stravaganti, ma questo lo vedremo in seguito”. L'accumulo di questi cristalli di ghiaccio al suolo forma il cosiddetto manto nevoso: “Dal momento che si deposita sul terreno, non parleremo infatti più di fiocchi di neve, anche se semplificando il manto nevoso è composto di per sé da migliaia, centinaia di migliaia o milioni di fiocchi di neve che si trasformano. Anche il manto nevoso può avere delle caratteristiche molto differenti, a dipendenza del suo spessore, della temperatura, dell'umidità in esso contenuta e di altre caratteristiche ambientali”.

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E' arrivata la neve a basse quote

Il Quotidiano 09.12.2022, 19:00

Il manto nevoso può infatti essere soffice, ghiacciato, bagnato o ventato, ma anche su questo torneremo. “Sicuramente è importante sottolineare come la neve sembri tutta uguale, ma analizzandola nel dettaglio, a livello microscopico, si apre un vero e proprio mondo. E a questo proposito va menzionata pure la nivologia, un termine che ogni tanto appare negli articoli: si tratta di una disciplina, che non fa parte strettamente della meteorologia, seppur vi sia legata, che si occupa di studiare proprio le caratteristiche della neve, sia dal punto di vista fisico sia da quello chimico”.

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Un fiocco di neve come lo intendiamo nell'immaginario collettivo: un cristallo di ghiaccio esagonale attorno a un nucleo di condensazione... ma in realtà esistono diversi tipi

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Come, dove e perché si forma e cade la neve

Se abbiamo visto che un fiocco di neve è sostanzialmente un cristallino di ghiaccio, per parlare della sua formazione è utile partire da una premessa: “Se ci pensiamo bene, eccezion fatta per alcuni casi molto particolari, la stragrande maggioranza delle gocce anche solo di pioggia che raggiungono i bassi strati dell’atmosfera nel loro recente passato sono transitate da uno stato solido, di cristallino di ghiaccio. Questo perché in quota, dove avviene il processo di formazione delle precipitazioni, le temperature sono spesso inferiori allo zero gradi, anche d’estate considerando quote superiori ai 5000 metri e pensando ai temporali. Fatta questa premessa, si può dire che la causa della formazione di un fiocco di neve è da ricercare come per le gocce di pioggia nella presenza di vapore acqueo nella troposfera, quindi nella parte meteorologicamente attiva dell'atmosfera che va dal suolo fino a circa 10’000 metri. Nell'atmosfera però non c'è solo vapore acqueo, sono presenti anche degli aerosol sotto forma di piccoli granellini di polvere, cristallini di sale o anche pollini, che fungono da nuclei di condensazione. Senza questi aerosol non sarebbe possibile la condensazione in piccole gocce e quindi nemmeno la pioggia. Attorno a questo nucleo di condensazione, in caso di diminuzione della temperatura che, come già visto nelle scorse puntate ha come risultato una diminuzione dello spazio per contenere il vapore acqueo, quest’ultimo condensa formando delle piccole goccioline, molto ma molto più piccole di una goccia di pioggia come la conosciamo al suolo. Dobbiamo pensare che il diametro medio è addirittura di solo un micron, ovvero un milionesimo di metro oppure mille volte più piccolo di un millimetro, giusto per dare l'idea della dimensione di queste goccioline iniziali. Se la temperatura dell'aria invece è inferiore allo zero gradi, invece di una gocciolina, si forma un piccolissimo cristallino di ghiaccio. In questo caso – a livello scientifico – non si parla più di nucleo di condensazione, ma di nucleo di congelamento”.

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Neve serale a Kanbara, dalla serie Cinquantatré stazioni del Tokaido, illustrazione giapponese del 1833-34 circa - Utagawa Hiroshige

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Non tutte le particelle che fungono da nuclei di condensazione possono però essere anche nuclei di congelamento: “Ci sono in effetti delle piccole differenze, ma bisogna anche dire che al calare delle temperature i nuclei di congelamento diventano predominanti e favoriscono la formazione di tanti piccoli cristallini di ghiaccio. Cristallini che poi, a causa del vapore acqueo presente oppure della collisione con altre idrometeore, crescono in dimensione e volume, acquisendo anche massa e, raggiunto un certo peso, inizierà a cadere. È da questo momento che si parla ufficialmente di idrometeore”.

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Quando ne cade davvero tanta in poco tempo: Buffalo il 26.12 durante la tempesta artica definita di portata storica

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Buffalo paralizzata dalla tempesta invernale

Telegiornale 26.12.2022, 20:00

Le diverse tipologie di neve, in cielo e al suolo

Il sottotitolo non è casuale, perché le tipologie di neve afferiscono a due classi principali: quando cadono dal cielo si parla di tipologia di precipitazione nevosa, e quando si deposita di tipi di neve al suolo. Luca Nisi di MeteoSvizzera: “A livello macroscopico nelle precipitazioni il primo tipo che troviamo è il nevischio: è il corrispettivo della pioviggine e i cristalli di ghiaccio che lo compongono sono di un colore bianco opaco. Spesso sono appiattiti o allungati, quindi non hanno la classica forma del fiocco di neve dell’immaginario comune, quelli disegnati che vediamo ovunque; bisogna piuttosto immaginare come delle ‘mini barrette’ di ghiaccio con un diametro molto molto piccolo, inferiore al millimetro. Il nevischio solitamente non causa accumuli di neve al suolo, se non una lievissima spolverata in alcuni casi. Si verifica quando c’è poca umidità, le precipitazioni sono molto deboli e soprattutto in una massa d’aria molto fredda (temperature sotto zero fino al suolo). Parliamo invece di nevicata quando dal cielo cadono dei cristalli di ghiaccio o aggregazioni (generate dallo scontro tra cristalli), che generano dei fiocchi un po’ più grandi. In generale si parla di neve quando il diametro dei fiocchi supera almeno il millimetro. A questo proposito, dopo lo vedremo, sono stati osservati dei fiocchi veramente enormi e al di là di quello che ognuno di noi può immaginare. Poi abbiamo la neve tonda: non la si osserva di frequente, ma quando capita spesso anche in sala previsione a Locarno Monti ci arrivano delle segnalazioni che parlano di una caduta sul terreno di piccole palline che sembrano quelle di ‘sagex’ (polistirolo). È anche definita come grandine molle o pallottoline di neve e si tratta di idrometeore con forma sferica bianche e opache anch’esse. A differenza del chicco di gragnuola o di grandine, formati da ghiaccio duro, prendendo in mano uno di questi pallini si nota che è possibile comprimerlo. Li possiamo tipicamente osservare in primavera o anche in inverno quando abbiamo una massa d’aria particolarmente instabile, quando le precipitazioni assumono un carattere convettivo, ovvero temporalesco. I pallottolini di neve sono composti da un nucleo centrale ricoperto da goccioline congelate. Si formano quando su una particella di ghiaccio, di solito un cristallo, si accumulano goccioline di acqua sopraffusa (gocce allo stato liquido ma in una temperatura ambiente inferiore allo zero gradi), che si congelano rapidamente. La loro densità è generalmente bassa, inferiore a 0.8 g/cm3, a causa degli spazi d’aria tra il nucleo e le goccioline congelate. La neve tonda, anche denominata come gragnuola opaca, in inglese è denominata con “snow pellets”. Non è da confondere con gli “ice pellets“, ovvero la gragnuola translucida. Quest’ultimo tipo di idrometeore sono originate da fiocchi di neve che generalmente cadono dalle nubi di tipo altostrato o nembostrato in uno strato di aria calda sottostante. I fiocchi fondono almeno parzialmente e se continuando la loro corsa verso la superficie terrestre incontrano uno strato di aria fredda possono congelare nuovamente e raggiungono quindi il suolo come precipitazioni solide. Le palline di ghiaccio sotto forma di gocce di pioggia ghiacciata (fiocchi di neve che sono fusi completamente nello strato di aria calda) sono trasparenti, mentre i fiocchi di neve ricongelati, meno comuni, sono in parte trasparenti e in parte opachi, a seconda che il fiocco di neve si sia sciolto completamente o solo parzialmente. Le palline di ghiaccio, a differenza della neve tonda, non sono facilmente frantumabili. Quando cadono su un terreno duro, in genere rimbalzano con un suono udibile al momento dell’impatto. La loro densità è solitamente vicina o superiore a quella del ghiaccio (0.92 g/cm3).

L’ultima categoria, molto semplice e che tutti conoscono, è quella dell’acquaneve, la forma mista, ovvero quando durante una precipitazione sono concomitanti sia i fiocchi di neve sia le gocce di pioggia. Spesso l’acquaneve è solo un momento e può essere una transizione da una nevicata verso la pioggia o viceversa, quando a causa dell’intensificazione delle precipitazioni oppure dell’arrivo di aria più fredda, si passa dall’acqua alla neve. Un po’ come abbiamo osservato alle quote più basse in Ticino durante le prime fasi della nevicata dello scorso 9 dicembre”.

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Valle Leventina dopo una lieve nevicata. Alle quote più basse la neve fonde, raffreddando gli strati più bassi dell’atmosfera e accentuando un’inversione termica. Si formano così dei banchi di nebbia sul fondovalle

  • Luca Nisi

Esiste poi come già scritto anche una classificazione della neve una volta che ha raggiunto il suolo, la letteratura riporta infatti sei classi principali: “Si inizia parlando di spolverata quando il manto che rimane a terra è misero. La spolverata potrebbe far pensare alla neve polverosa, ma alle nostre latitudini si utilizza il termine anche quando si accumula al suolo qualche centimetro di neve bagnata. Di neve polverosa si parla invece quando i fiocchi cadono con temperature a zero gradi o inferiori e rimane poi molto freddo anche al suolo. Come penso tutti abbiano già visto, si tratta di una neve molto soffice sulla quale basta soffiare con la bocca per vedere uno spostamento al suolo. La neve pesante è invece presente quando la neve cade in una massa d’aria mite e quindi risulta bagnata. Ma può anche comparire partendo dalla neve polverosa, sempre a causa dell’aumento delle temperature che innesca il processo di fusione e quindi l’umidificazione del manto nevoso. Al contrario, la neve ghiacciata compare quando un manto nevoso umido e bagnato, in seguito a un calo della temperatura, magari di notte, fa appunto ghiacciare la neve, che subisce una trasformazione e si riformano i cristalli di ghiaccio all’interno del manto dove durante il giorno si è pure magari infiltrata acqua di fusione. Alla fine del processo questa neve viene poi definita neve trasformata, un’ulteriore classe a sé stante: il ciclo continuo giorno-notte e i cambi di temperatura continuano infatti a lavorare e modificare questa neve di giorno in giorno. L’ultima categoria, che troviamo soprattutto in montagna ed è ben conosciuta – e spesso temuta, non tanto per le valanghe ma per la difficoltà a ‘sciarla’ – da chi pratica lo sciescursionismo, la cosiddetta neve ventata. Il vento e l’umidità infatti, con il loro lavoro incessante lavoro, trasformano la neve formando una crosta molto dura in particolare sulla superficie. in Ticino la chiamiamo anche neve cartonata, che viene probabilmente dal dialetto quando si dice che l’è come carton”.

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Neve ventata "cartonata" con crosta a Calpiogna il 12.12.2022

  • Luca Nisi

L’accumulo al suolo: attacca o non attacca?

Anche in questo caso una premessa si rende utile e riguarda due concetti che anche da noi sono utilizzati nei bollettini di MeteoSvizzera: “Come molti altri numerosi uffici meteorologici, nei nostri bollettini indichiamo il limite delle nevicate: si tratta della quota dove durante un evento di precipitazione sono presenti in egual quantità gocce di pioggia e fiocchi di neve, al 50 e 50 insomma, anche se si tratta di un’approssimazione perché andare a contarli è abbastanza impensabile. Questo limite dipende primariamente da una combinazione di temperatura e umidità dell’aria, ma generalmente si situa dove la temperatura oscilla tra poco più di 0 e 2 gradi, di solito 3-400 metri di dislivello al di sotto dell’isoterma di zero gradi. In questa zona, e molti forse non lo sanno, non è da attendersi accumulo nevoso al suolo. Per determinare il limite delle nevicate in meteorologia viene utilizzata maggiormente la temperatura psicrometrica, un valore di temperatura che tiene conto anche dell’umidità dell’aria. Il limite della neve invece, che è differente e che non viene indicato nelle previsioni, indica la quota dalla quale la neve inizia a imbiancare e a rimanere presente, ad ‘attaccare’, sul terreno. Solitamente lo si trova 100-200 metri più in alto rispetto al limite delle nevicate, ma sempre al di sotto dell’isoterma di zero gradi di circa 200 metri. Semplificando e pensando in ‘verticale’, scendendo dall’alto troveremo prima l’isoterma di zero gradi, al di sopra del quale di solito la neve è polverosa, dopodiché, scendendo 200 metri, la neve inizia a diventare umida o bagnata ma è ancora presente al suolo: qui avremo il limite della neve. Infine, circa altri 200 metri al di sotto avremo il limite delle nevicate senza accumulo”.

Quello che però interessa ai più, e spesso scatena discussioni date da percezioni personali anche molto diverse, sono i centimetri – o metri in alcuni casi – che restano al suolo dopo le precipitazioni. Precipitazioni che nei bollettini vengono però espresse in millimetri (d’acqua): come regolarsi quindi? “In caso di neve pesante o bagnata possiamo avere un rapporto fino a 10 a 1: significa che per 10 mm di precipitazione caduti, a terra resterà un centimetro di neve. Si può addirittura arrivare anche a rapporti di 50 mm che lasciano al suolo solo qualche centimetro di “poltiglia” , ovviamente dipende dalla temperatura, da quanto sono bagnati i fiocchi e, non da ultimo, dalla temperatura del terreno. A questo proposito si può dire ad esempio che la neve tardo autunnale a basse quote attacca meno velocemente rispetto a quella primaverile, proprio a causa del terreno più caldo dopo l’estate. Con la neve umida, che solitamente cade attorno agli zero gradi, il rapporto è circa di uno a uno, quindi un millimetro d'acqua caduta corrisponde a un centimetro di neve. Con la neve asciutta e polverosa il rapporto s’inverte rispetto alla neve pesante: lo si vede spesso in montagna, dove a un millimetro di precipitazione possono corrispondere addirittura due-tre centimetri di neve, nelle zone polari si può perfino arrivare a sette-otto centimetri. Più è freddo più la neve è infatti polverosa, contiene più aria e quindi aumenta l’accumulo”. Infine, la neve caduta e accumulatasi al suolo va incontro al suo destino, che - dopo un più o meno lungo processo di trasformazione e cambiamento di stato - è già segnato e può avere un esito bivalente: “O la fusione completa, oppure se ci troviamo a quote molto alte, in presenza di un ghiacciaio, ci sarà una trasformazione in ghiaccio e firn”.

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Le foglie fungono da isolante: sul terreno caldo la neve è fusa, sulle foglie la neve persiste

  • Luca Nisi

Il fascino della geometria e la magia della natura, anche se i fiocchi possono essere uguali

Non esiste un fiocco di neve uguale all’altro. Chi non ha mai sentito e interiorizzato questo assioma che ci accompagna fin da quando siamo piccoli? Ma è davvero così, e cosa si può dire della forma dei fiocchi? “Iniziamo dal mantra dei due fiocchi mai uguali: scientificamente possiamo dire che è scorretto, è infatti perfettamente possibile fisicamente averne due uguali, anche se improbabile e molto raro. Dobbiamo pensare che un fiocco di neve è composto da migliaia di piccoli cristallini di ghiaccio ed è quindi veramente difficile che due fiocchi siano perfettamente identici, anche due che crescono molto vicini e nelle stesse avranno sempre una piccola differenza. Ma bisogna altrettanto sottolineare che la Società meteorologica americana (AMS) ha riferito nel 1986, tramite uno studio su una nevicata precoce il 1° di novembre, di aver trovato due fiocchi a piastra esagonale che, dopo un’analisi al microscopio, sono stati definiti perfettamente identici. Come detto, raro ma possibile.”

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La forma esagonale deriva principalmente dalla struttura cristallina del ghiaccio, che a sua volta discende dalla struttura molecolare dell'acqua

  • pixabay

Tornando sulla geometria diversificata, così come per il manto nevoso al suolo, la forma finale del fiocco dipende dall'ambiente in cui cresce e principalmente dai due parametri di temperatura e umidità dell'aria, a cui va aggiunta anche la velocità di caduta: più è alta e più aumenta la possibilità di collisione e aggregazione con altri fiocchi. “Sebbene esistano fiocchi di neve di forma allungata, ad ago e cilindrica, la maggior parte dei cristalli di neve assume una forma esagonale e questo deriva principalmente dalla struttura cristallina del ghiaccio, che a sua volta discende dalla struttura molecolare dell'acqua. Quest’ultima quando congela tende infatti a formare dei prismi esagonali, attorno ai quali spesso si formano ulteriori prismi, talvolta esagonali, talvolta più allungati, chiamati rami che danno origine al tipico fiocco di neve come lo intendiamo di solito. Sempre a dipendenza di temperatura e disponibilità di umidità il fiocco di neve può così assumere davvero le più svariate e incredibili forme. Grazie alla ricerca empirica (condizioni ambientali e osservazioni al microscopio), in letteratura esiste comunque uno schema che mostra tutte le macro forme possibili a dipendenza proprio di temperatura e umidità.”

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Una parte dello schema con le macro forme possibili a dipendenza proprio di temperatura e umidità

  • NOAA

L’acqua (e il ghiaccio) sono trasparenti, ma noi vediamo la neve bianca: la spiegazione

Il colore della neve, che noi vediamo bianca, è il risultato di un effetto di riflessione dei raggi solari: “Abbiamo visto che il manto nevoso è composto da milioni di cristalli di ghiaccio differenti tra loro, cristalli che di per sé sono trasparenti. Questi cristalli però riflettono e deviano i raggi solari in maniera casuale, perché sono tantissimi e sono posizionati nel manto nevoso in maniera abbastanza caotica, generando una riflessione diffusa. Al nostro occhio arriva pertanto la somma di questa riflessione che è una composizione di tutti i colori dello spettro, dato che i cristalli di ghiaccio non assorbono nessun colore, e la fisica ci spiega che quando questo accade l’occhio umano lo elabora e percepisce come un bianco perfetto”. Il colore bianco della neve ha poi anche una conseguenza molto pratica quando cade durante il giorno: riduce la visibilità, andando a diminuire il contrasto della luce diffusa presente. “Al contrario quando abbiamo un fiocco di neve che cade durante la notte, se è presente una fonte luminosa che illumina i fiocchi, il contrasto con lo sfondo notturno nero è molto forte e i fiocchi sono quindi visibili molto bene. Se penso ai ricordi di bambino, quando si cercava di capire se nevicasse o meno, di giorno si cercava un albero scuro per vedere i fiocchi, mentre di notte si cercava un lampione o una luce. Infine il colore della neve può essere anche rossastro-marroncino, ma in questo caso è dovuto al deposito delle polveri sahariane, un fenomeno osservato anche negli ultimi inverni sulle Alpi.”

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Dal bianco candido ai colori del deserto sulle Alpi, in questo caso ad Anzère in Vallese il 6 febbraio 2021

  • pixabay/keystone

Dal bianco all’effetto Albedo, il protettore di terreni e ghiacciai

Sempre rimanendo nell’ambito di colore e riflessioni, un altro aspetto legato alla neve e che si sente spesso citare è il cosiddetto effetto Albedo. “Consiste, in parole povere, nella riflessione della luce solare che arriva al suolo. I fiocchi come detto non assorbono nessun raggio e anzi li riflettono, quindi più la superficie è bianca e chiara e maggiore sarà l’effetto Albedo. Le conseguenze? Da una parte un effetto di abbaglio, tutti sanno infatti che quando c’è il sole è difficile tenere aperti gli occhi quando ci troviamo in un paesaggio imbiancato. Dall’altra il manto nevoso offre una protezione al terreno, impedendogli di riscaldarsi. La stessa cosa avviene sui ghiacciai, è per questo che è importante che a inizio estate ci sia ancora uno strato bianco sopra il ghiaccio, così questo riceve meno radiazione solare e quindi il processo di riscaldamento e fusione è minore”.

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L'effetto albedo

L’effetto albedo ha una sua scala di misurazione e l’albedo massima è 1 (un oggetto perfettamente bianco), ovvero quando tutta la luce viene riflessa, mentre il minimo è 0 (oggetto perfettamente nero). L'albedo della neve fresca arriva fino a 0,9, mentre ad esempio una lavagna arriva a circa 0,15. L'albedo si può anche misurare in percentuale (1 uguale a 100%): la Terra ha un'albedo media di 0,37-0,39, quindi del 37%-39%. Un effetto albedo alto, come nelle distese artiche o subpolari, può inoltre contribuire a mantenere bassa la temperatura, vista la riflessione dei raggi – e quindi dell’energia – del sole.

La neve e la natura, un binomio vincente (con qualche danno collaterale)

Pensando alla natura e alla neve, soprattutto quella che cade alle nostre latitudini, il punto di partenza non può essere che uno: rappresenta una riserva d’acqua che cade in forma solida durante la stagione fredda e che viene poi restituita alla natura, in forma liquida, durante il processo di fusione nella stagione calda. “È fondamentale, perché la stagione estiva - al di là della temporanea e spesso locale umidificazione causata dai temporali– è piuttosto secca. D’altro canto come già detto la neve funge anche da isolante per il terreno: dobbiamo pensare che quando ne abbiamo al suolo questo resta quasi completamente separato dall'atmosfera. Spesso in montagna nei bassi strati abbiamo delle temperature intorno ai -15/-20 gradi: anche in questo caso sotto la neve le temperature si conservano attorno allo zero o giusto pochi gradi sotto. Per la vegetazione, che è nella fase ‘dormiente’ ma che potrebbe comunque essere sensibile a delle temperature molto basse, è una vera e propria protezione, come una coperta che adagiamo su flora e terreno”. Anche la natura può però subire le conseguenze del peso e della dinamica del manto nevoso: “Proprio gli alberi, soprattutto in presenza di neve pesante abbondante – e negli ultimi anni lo abbiamo visto diverse volte a sud delle Alpi – possono subire rotture di rami o addirittura la caduta dell’intero fusto”. E anche le valanghe, con la loro forza, possono eradicare la vegetazione e modificare gli habitat.

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Oltra ad essere una riserva d'acqua in forma solida, la neve funge anche da isolante per il terreno e la vegetazione

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La neve e gli esseri umani, un rapporto pure vincente (con altri possibili danni)

Si sa, una delle prime implicazioni che vengono in mente quando si parla di neve ed esseri umani a che fare con la forza delle braccia e un semplice attrezzo: l’atto di spalare. Ma al di là della forza fisica per aprirci i necessari varchi, qual è il bilancio del rapporto uomo-neve? “Di per sé, anche la relazione dell’uomo con la neve è quasi sempre positiva, eccezion fatta quando le nevicate, soprattutto a basse quote, risultano un impedimento, possono dar luogo a difficoltà nel portare avanti la propria attività lavorativa o provocare importanti danni economici. Detto questo, la maggioranza delle persone vede comunque la neve di buon occhio, anche al di là dell’aspetto decorativo sempre suggestivo. Ha infatti un effetto positivo ovviamente per quanto riguarda le stazioni invernali, un tema tornato decisamente alla ribalta con il riscaldamento climatico, anche a sud delle Alpi. Allargando la visione a tutta la Svizzera, la neve rappresenta ancora un fattore economico molto importante e per questo il suo arrivo è tendenzialmente gradito”. Come per la natura, la relazione con i bianchi fiocchi può però provocare conseguenze negative: “Sicuramente il primo pensiero corre alle valanghe: ogni anno in Svizzera abbiamo purtroppo diverse vittime delle slavine che, in certi rari casi, possono pure
minacciare e danneggiare infrastrutture costruite dall'uomo. Non dà ultimo, spesso la maggior parte dei disagi che causa la neve sono legati alla scarsa visibilità durante le precipitazioni e al manto stradale che diventa più scivoloso, entrambi fonti di incidenti della circolazione talvolta anche gravi”.

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Una valanga in alta montagna in Vallese caduta il 24 marzo 2019 che ha travolto quattro persone

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Una valanga di neve bagnata che ha travolto e danneggiato la strada cantonale il 14 gennaio 2021 nel Canton Uri

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Valanghe, prevenire è meglio che curare

RSI/Dario Lanfranconi-Milo Zanecchia-Alberto Dagnino 21.12.2018, 13:32

La neve e la sua distribuzione, dove nevica di più e perché

Anche in questo caso torna utile una premessa piuttosto scontata, ma importante: “La neve cade nelle zone dove le temperature riescono a raggiungere gli zero gradi, quindi dove fa freddo e dove i sistemi frontali causano la formazione di precipitazione. Generalizzando possiamo quindi dire che il limite è rapppresentato dalla latitudine di 35 gradi nord, più a sud di questa linea le nevicate a basse quote sono rare o rarissime, anche se non impossibili. Nel deserto, che associamo normalmente a un caldo intenso, a causa di fattori particolari, non da ultimi l’aria molto secca e l’effetto albedo della sabbia che, seppur non forte come quello della neve, fa il suo lavoro, di notte le temperature calano di parecchio, ancor più se il cielo è sereno. Questo può talvolta creare i prerequisiti per vedere, come testimoniano le immagini catturate e divulgate sul web negli ultimi anni, qualche spolverata di neve nel territorio dei cammelli. Per parlare di neve abbondante non dobbiamo però nemmeno spingerci troppo a nord, in quanto nelle zone polari l’aria è certamente molto fredda e risponde a uno dei requisiti per favorire la neve, ma al contempo è così fredda che quest’aria - come visto anche nelle puntate precedenti – può contenere poco vapore acqueo e le nevicate risultano quindi piuttosto deboli, seppur frequenti. Fatte queste premesse, possiamo quindi dire che i luoghi dove le nevicate sono più abbondanti, si trovano a latitudini medie e medio-alte: con riferimento all’Europa, si parte dalle Alpi e da lì su verso nord fino a raggiungere il massimo sulle montagne e sui rilievi della Norvegia, della Svezia e della Finlandia. Questa è la fascia che, grazie soprattutto a perturbazioni più frequenti, riceve l’innevamento maggiore, e lo stesso avviene in Nordamerica e in Asia, come ad esempio in Giappone. Anche in questo caso non mancano però le eccezioni: su tutta la costa occidentale del continente americano, ma ancora più quella occidentale o nordoccidentale dell'Europa (Scozia, Irlanda e Regno Unito in generale), le nevicate sono decisamente più rare. Il motivo va ricercato, come visto con il vortice polare, nelle correnti che arrivano spesso da ovest portando verso le coste aria calda riscaldata dalla superficie oceanica tiepida. C’è poi però anche un effetto quota da tenere presente: tornando in Africa e salendo sul Kilimangiaro, o spostandoci in Asia su catene come quella himalayana, la grande altezza di questi rilievi permette il deposito di quantità importanti di neve anche a latitudini molto più basse”.

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Una nevicata da record a Valens, nel Canton San Gallo, il 17 gennaio 2021

Le dinamiche e le “fasce” sono simili per l’emisfero australe ma, come già visto per il vortice polare, sussiste un’importante differenza che rimescola un po’ le carte in tavola: “Nell’emisfero sud abbiamo decisamente meno terraferma alle medie e alte latitudini, sono prevalentemente zone oceaniche. La distribuzione sarebbe quindi simile, ma a parte le eccezioni di regioni come la Patagonia, non può essere misurato un vero e proprio accumulo per fare un confronto.”

Dati e record: dal fiocco di 38 cm ai quasi 29 metri caduti in un inverno

Arriviamo ora ai dati più significativi che troviamo nelle serie di registrazioni meteorologiche sparse per tutto il globo e, come sottolinea Luca Nisi, vale la pena partire da una curiosità: “È un dato che mi ha meravigliato e non ne ero a conoscenza, ovvero il fiocco di neve più grande mai osservato e riportato dal Guinness dei primati: 38 centimetri di larghezza per 20 di spessore, un vero gigante difficile da immaginare, caduto nel Montana nel gennaio 1887. Vista la data e le dimensioni qualche legittimo dubbio può sorgere, ma è altrettanto vero che di solito per entrare nel Guinness i dati vengono verificati in maniera abbastanza selettiva e il fatto è stato riportato da diversi media dell’epoca. Ovviamente scientificamente in realtà è difficile pensare che si trattasse davvero di un unico fiocco, quanto piuttosto un conglomerato di migliaia di fiocchi, ma la dimensione resta impressionante”.

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La famosa Tateyama Kurobe Alpine Route in Giappone, dove nevica davvero molto e ogni anno i turisti vanno a gustarsi gli impressionanti muri di neve

  • elminium-Flickr
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Tempeste di neve in Giappone

Telegiornale 26.12.2022, 12:30

Abbandonando la curiosità da guinness, i record impressionanti abbondano però anche nei rilevamenti ufficiali: “Sull’intera stagione invernale il quantitativo di neve fresca caduta e misurata corrisponde addirittura a 28 metri e 95 centimetri, sul Mount Baker negli Stati Uniti nell’inverno 1998/99. A titolo di confronto, spostandoci in Svizzera e prendendo appunto la somma delle nevicate giornaliere (non l’altezza totale del manto), il record lo si trova all’ospizio del Grimsel (1980 metri), dove nell’inverno 1974-75 sono stati misurati 20,73 metri di neve caduta. Se si prende in esame invece l’altezza del manto nevoso, quindi considerando anche gli effetti di compressione della neve al suolo, il valore massimo ci porta in Giappone al 14 febbario del 1927, quando la coltre bianca ha raggiunto ben 11 metri e 82 centimetri. La nevicata più intensa sulle 24 ore ci riporta invece sull’altra sponda del Pacifico: in Colorado, negli USA, nel 1921 vennero misurati 192 cm al suolo in un solo giorno. Procedendo anche qui con un ‘confronto svizzero’ rispunta l’ospizio del Grimsel, ma questa volta a parimetro con il passo del Bernina: nel primo caso il 15 aprile 1999, nel secondo il 30 marzo 2018, sono stati misurati 130 centimetri in 24 ore. E non stupisce che sia avvenuto in primavera, proprio perché come dicevamo prima arrivano masse d’aria più calde (relativamente, sempre sotto lo zero) con maggiore umidità a disposizione”. A questo proposito va aggiunta una precisazione, soprattutto per i lettori delle vallate del Sopraceneri che, giunti a questo punto, potrebbero magari avere il dubbio che questi valori siano in realtà già stati raggiunti anche in Ticino nelle zone montane: “Potrebbe essere vero, ma purtroppo non abbiamo stazioni di misura ovunque, ma anche a me è già capitato di misurare nevicate con accumuli orari da 8-9 centimetri, quindi molto intense… e pensando in particolare alla Valle Bedretto è versomile che questi 130 centimetri in 24 ore siano già stati raggiunti, ma non abbiamo le misure ufficiali a suffragarlo.”

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La chiesa di Fontana, in Val Bedretto, fotografata il 13 febbraio 2009

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Neve e cambiamento climatico: davvero nevicherà sempre meno?

Per rispondere alla domanda delle domande, che popola gli incubi degli amanti della neve, bisogna partire da due aspetti importanti legati alla questione: “Il primo è oggi ben conosciuto: le temperature a livello globale – Svizzera compresa – stanno aumentando e in tutte le stagioni, anche se l'aumento stagionale è in parte mitigato da effetti locali (inversioni termiche un po’ meno importanti d’inverno che d’estate). Inoltre, dal 1970, e penso che non dico niente disconosciuto, al di sotto degli 800 metri di quota, i giorni con neve fresca sono diminuiti addirittura del 50%, mentre al di sopra dei 2000 metri del 20%. Già oggi in pianura abbiamo quindi la metà dei giorni con neve fresca rispetto agli anni ’70, e stiamo parlando di soli 50 anni, e anche in quota abbiamo una lieve diminuzione. A causa del riscaldamento climatico possiamo affermare che i giorni con neve fresca e l'accumulo totale sono destinati a dimuniure alle quote basse e medie. Se guardiamo gli scenari climatici per la Svizzera, prendendo come riferimento il 2060 a una quota di 1500 metri, dagli attuali 60 giorni di neve con accumulo al suolo, si scenderà - anche a dipendenza della strategia di protezione del clima adottata – tra i 30 e i 40 giorni. Alle quote più basse, dai 5-10 giorni attuali con fiocchi al suolo si passerà invece a 1-2 giorni. In generale al di sotto dei 1000 metri si può dire che il valore di riduzione dei giorni con neve previsto è del 50% entro metà secolo e ben dell’80% entro fine secolo. È però importante dire che, anche in relazione al mutamento climatico, rimarrà una spiccata variabilità meteorologica nella regione alpina e la nevicata abbondante fino a basse quote sarà sempre possibile anche in futuro, ma sarà appunto meno frequente.”

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Nevicherà ancora a basse quote?

  • MeteoSvizzera/Marco Gaia
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La copertura nevosa, espressa con la relativa perdita, alle differenti quote nel 2060

  • MeteoSvizzera

Il secondo aspetto che magari molti non conoscono riguarda sempre gli scenari climatici che, proprio per l’evoluzione data dai cambiamenti climatici, indicano pure che le precipitazioni invernali in futuro saranno in aumento: “Gli scenari climatici non sono però in grado di fornirci indicazioni sulla distribuzione delle precipitazioni, potranno esserci meno eventi, ma con un apporto più importante. Questo significa che per le quote più elevate, indicativamente quelle superiori ai 3mila metri, l’accumulo di neve potrà essere anche più importante rispetto ad oggi. Ma se pensiamo bene alla quantità di territorio che abbiamo in Ticino al di sopra dei 3000 metri, o anche solo al di sopra dei 2500, è poca cosa: si tratta principalmente di cime delle montagne, di conseguenza la superficie di territorio in percentuale è molto bassa. Se pertanto a queste quote dovesse esserci un maggiore accumulo, sarebbe una magra consolazione poco significativa per lo stoccaggio di acqua sotto forma solida per l’estate” conclude Nisi con una punta di amarezza.

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La variazione delle precipitazioni stagionali (senza misure di protezione del clima) con orizzonte 2085: forte diminuzione d'estate, aumento d'inverno

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