"Limits of Language" di Field Music, Memphis Industries (dettaglio di copertina)
La Recensione

“Limits of Language”

C’è pop e pop

  • memphis-industries.com
  • 25.11.2024
  • 25 min
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Di: Franco Fabbri 

Parafrasando Luciano Berio e la sua indimenticabile serie di trasmissioni televisive (“C’è musica e musica”), si può argomentare che non tutto l’universo della popular music sia uguale. È un’ovvietà, ma spesso chi non conosce la popular music tende a fare di ogni erba un fascio. Intanto: pop o rock? Pop erano i Beatles, i Pink Floyd, le musiche nuove che circolavano alla fine degli anni Sessanta. Per confondere le carte, anche il progressive rock, all’inizio, era chiamato pop. E pop era il Brit Pop, che emerse negli anni Novanta, e che riaffiora oggi con l’annunciata tournée degli Oasis. Anche nel pop ci sono diverse articolazioni, e un’avanguardia: l’art pop o avant pop, per chi si accontenta di queste etichette. Sicuramente ne fanno parte i Field Music, il duo dei fratelli di Sunderland, nel Nord dell’Inghilterra, Peter e David Brewis, arricchito di volta in volta da altri strumentisti. Un critico britannico ha iniziato così la sua recensione dell’ultimo album: «… se mi domandassero di scegliere un gruppo che io abbia preferito in continuazione negli ultimi vent’anni, decisamente indicherei i Field Music». Un nome che pochi conoscono fuori dalle cerchie di esperti, ma certamente noti sono i nomi che in quella recensione vengono citati per suggerire delle similitudini: i Genesis dell’epoca-Gabriel, La Yellow Magic Orchestra, gli Steely Dan, Prince. E aggiungiamo gli XTC, la primissima immagine che viene in mente ascoltando gli album dei Field Music, compreso quest’ultimo. Le stesse forme sghembe, le sequenze di accordi che suonano facili (finché non si prova a riprodurle), le sovrapposizioni ingegnose di riff, le voci a parti strette al limite del falsetto, un uso raffinato e allo stesso tempo giocoso dello studio di registrazione e della stereofonia, indubbiamente erede di Sgt. Pepper’s, ma senza fare appello alla psichedelia. Come il pop di sessant’anni fa, o quasi (ricordiamoci di “Help!”, 1965), anche questo richiede ascolti ripetuti per essere compreso. Ma quasi subito è una festa per le orecchie e il cervello.

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