Otomo Yoshihide è un nome ben noto ai cultori della sperimentazione, dal noise, al post-rock, all’elettronica, al cosiddetto turntablism, all’improvvisazione radicale e anche al minimalismo e a certa sperimentazione di ambito accademico. Insomma Otomo come spesso viene chiamato, col solo nome, è un’icona di ciò che oggi è l’avanguardia più vivace e dirompente, nata dal radicalizzarsi dell’underground e che in Giappone ha trovato un terreno particolarmente fertile.
Forse però bisognerebbe usare l’imperfetto: era un’icona. Questo perché dai devastanti, strepitosi furori giovanili, oggi quella di Otomo, classe 1959, verrebbe quasi da definirla come una “avanguardia dal volto umano”, a parte un dettaglio che da decenni resta inamovibile nelle sue esibizioni: il volume spacca timpani.
Almeno questa è l’impressione suscitata dalla Otomo Yoshihide Special Big Band nel concerto tenuto al Teatro Ariosto di Reggio Emilia – unica data italiana - nell’ambito del Festival Aperto, in coproduzione con l’Angelica Festival di Bologna.
Avanguardia dal volto umano però è solo una battuta. Perché questa di Otomo è solo una delle sue molte facce, fra cui figurano anche il pop, la musica per il cinema e la TV. Comunque, fatta eccezione per i timpani (almeno i miei), è stata una serata entusiasmante.
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