Sono passati sei mesi e quella che doveva essere un’operazione militare molto rapida e indolore si è trasformata in un conflitto che ha assunto caratteri regionali e che sta mettendo in scena atrocità ed effetti tipici di una guerra (sfollati, fame, stupri etnici ecc).
In Etiopia, la regione settentrionale del Tigray, continua ad essere teatro di un sanguinoso conflitto fra le forze federali del primo ministro Abiy Ahmed (premio Nobel per la pace nel 2019…) ed il Fronte popolare di liberazione del Tigray, a capo del paese per molti anni fino a non molto tempo fa.
Alla campagna militare federale si è unita la vicina Eritrea, con cui Ahmed aveva fatto pace nel 2018, mentre il Sudan sta accogliendo a fatica migliaia di sfollati. Il Tigray, a complicare ancora di più lo scenario, non è la sola regione del paese a conoscere violenza interetnica.
A giugno si sarebbe dovuti andare al voto ma l’appuntamento con le urne è stato posticipato proprio pochi giorni fa. La campagna elettorale era stata poco appariscente e diversi partiti di opposizione avevano progettato di boicottare la tornata, definendola una "farsa".
Del caos etiopico e di quello nella regione parliamo con:
Laetitia Bader, direttrice per il Corno d’Africa di Human Rights Watch;
Giulia Paravicini, giornalista Reuters in Etiopia;
Luca Puddu, esperto della regione e professore di Storia contemporanea dell’Africa all’Università di Bologna.
Intervista registrata a Davide Vignati, direttore della Cooperazione svizzera (DSC) in Etiopia.
Modem su Rete Uno alle 8.20, in replica su Rete Due alle 19.25. Ci trovate anche sul Podcast e sulle app: RSINews e RSIPlay
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