Raggiungerà il traguardo dei novant’anni il prossimo 25 giugno, ma oltre a questo importante genetliaco, il 2023 è ricco di anniversari e avvenimenti per Michelangelo Pistoletto. Ci sono da festeggiare anche i venticinque anni della fondazione Cittadellarte, ma soprattutto vent’anni fa venivano poste le basi del progetto del Terzo Paradiso, la sua opera e idea più ambiziosa, utopistica e significativa. A ciò si aggiungano la bella mostra appena conclusa a Milano, “La pace preventiva”, allestita presso la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, e poi la personale in corso fino al 15 ottobre al Chiostro del Bramante di Roma. Intitolata “INFINITY. Michelangelo Pistoletto”, ripercorre oltre sessant’anni di una carriera multiforme e precorritrice.
Nel corso del suo lungo e articolato cammino artistico, Michelangelo Pistoletto non si è limitato semplicemente a fare arte, ma è stato e continua a essere un instancabile attivatore di pratiche, progetti e collaborazioni. Con approccio visionario e lungimirante, Pistoletto ha attraversato i decenni portando avanti la sua idea di arte imperniata sui concetti-guida di responsabilità, trasformazione e rigenerazione. Grazie a una inesausta ricerca multidisciplinare, che fonde estetica ed etica, creatività e civiltà, pensiero e azione, è diventato non solo un Maestro dell’arte contemporanea, ma anche e soprattutto un innovatore a tutto tondo.
Opere di Michelangelo Pistoletto
Nato a Biella nel 1933, Michelangelo Pistoletto incontra per la prima volta l’arte nello studio del padre, pittore e restauratore. Qui, a quattordici anni, inizia a lavorare muovendosi tra icone religiose e quadri antichi che, dalle case dell’aristocrazia decaduta, passano in quelle della ricca borghesia industriale. Su consiglio della madre, il giovane Pistoletto frequenta la scuola di grafica pubblicitaria diretta dal celebre Armando Testa. “Alla scuola di pubblicità si guardava all’arte moderna come all’ispiratrice del design pubblicitario, e lì ho cominciato a scoprire la meraviglia e le possibilità enormi che l’arte moderna offriva. A quel punto ho capito che avrei potuto sviluppare, attraverso l’arte, un mio modo di esistere, di pensare e di agire, che non avrei mai potuto realizzare altrimenti” racconta l’artista in una lunga conversazione con Alain Elkann nel libro La voce di Pistoletto (Bompiani, 2013). Così, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, Pistoletto dà avvio alla sua personale ricerca artistica dipingendo inizialmente degli autoritratti in bilico tra il figurativo e l’astratto ‒ “Era attraverso l’autoritratto che cercavo la mia identità”.
Ma è con i cosiddetti Quadri specchianti che realizzerà di lì a poco che l’artista piemontese si affermerà a livello nazionale e internazionale. “Poi finalmente ho capito che l’arte moderna era un’esplosione di libertà […]. Lo specchio non è arrivato un giorno, come si dice, per caso. Cercavo qualcosa che potesse darmi una risposta a tutte quelle domande, e dallo specchio sono venute le risposte”. Con questa serie di opere, Pistoletto trasforma la tela in specchio. La partecipazione subentra alla contemplazione, perché il visitatore, interagendo con lo specchio e con le immagini fotografiche applicate sulla lastra d’acciaio riflettente, entra a far parte dell’opera. Nella concezione di Pistoletto i Quadri specchianti rappresentano un’apertura verso la quarta dimensione e verso l’infinito: il tempo entra nello spazio, il passato si affianca al presente.
Esposti per la prima volta nel 1963 alla Galleria Galatea di Torino, i Quadri specchianti in breve tempo viaggiano tra gallerie e musei, in Europa e negli Stati Uniti, grazie alla stima e all’appoggio di alcuni importanti mercanti d’arte e galleristi, primi fra tutti Ileana Sonnabend e Leo Castelli. Chiusa la parentesi americana, che vede Pistoletto accanto ai grandi nomi della Pop Art, ecco un nuovo cambio di direzione, a testimonianza di una innata capacità di reinventarsi, di non fossilizzarsi su una tecnica o una disciplina. Emblematici di questa attitudine sono gli Oggetti in meno, realizzati a metà degli Sessanta: una trentina di opere tutte diverse tra loro, quasi fossero concepite e create da artisti differenti. Ciascuno è “una possibilità mentale tramutata in in oggetto reale” (si va dal Quadro da pranzo alla Rosa bruciata, dalla Sfera di giornali al Metro cubo d’infinito, solo per citarne alcuni). Non è un caso che questo gruppo di lavori arrivi dopo l’esperienza statunitense e l’incontro ravvicinato con il frenetico mercato dell’arte a stelle e strisce. Con gli Oggetti in meno, infatti, Pistoletto intende prendere le distanze dai condizionamenti e dal monopolio che il mercato consumistico impone sull’arte contemporanea. “Annullando il mio segno personale ho riacquistato la mia preziosa autonomia d’artista”. Nel suo testo dichiarativo del 1967, il critico Germano Celant segnala tra i riferimenti iniziali dell’Arte Povera proprio gli Oggetti in meno. Ed è così che Pistoletto diventa uno dei principali precursori e protagonisti di quello che sarà il più significativo e influente movimento artistico del secondo Novecento italiano. Risale a questo periodo una delle opere più note e rappresentative di Pistoletto: la Venere degli Stracci, un lavoro per certi versi profetico e ancora oggi di grande impatto e pregnanza, suo malgrado metafora dell’enorme mole di rifiuti prodotti dall’uomo, del fast fashion, degli oggetti usa e getta e del consumismo sfrenato.
Come detto, però, Michelangelo Pistoletto non ama stare fermo e arenarsi su determinate situazioni o posizioni. Per questo, nel 1968, sente l’esigenza di aprire il suo studio alla partecipazione e collaborazione di artisti dai linguaggi diversi e di esprimersi fuori dai tradizionali spazi espositivi e luoghi adibiti all’arte. Forma così il gruppo dello Zoo, una formazione eterogenea e poliedrica, con cui realizza piccoli spettacoli di strada. Per alcuni anni, l’artista percorre l’Italia e l’Europa con lo Zoo, promuovendo la sua idea di arte come fonte di “energia mentale e visiva” e come forma di dialogo e partecipazione. È la prima manifestazione di quella “collaborazione creativa” che l’artista svilupperà pienamente nei decenni successivi, abolendo i confini fra discipline, culture e linguaggi, e interagendo con il tessuto sociale.
Da qui in avanti, sono sempre più numerose le occasioni in cui Michelangelo Pistoletto si impegna nel porre in relazione arte e società e per dare luogo a quella “creatività responsabile” che diventa uno dei cardini della sua poetica. Con questo stesso spirito l’artista accetta anche l’incarico, nel 1990, di docente all’Accademia di Belle Arti di Vienna, dove per una decina d’anni insegna valorizzando una creatività rivolta al sociale e basata su tematiche multidisciplinari, dall’ecologia alla comunicazione, dall’abitare alla moda. Tutto ciò lo porta a pubblicare, nel 1994, il suo manifesto programmatico Progetto Arte, seguito da incontri pubblici e mostre che coinvolgono artisti di diverse discipline e rappresentanti di ampi settori della società. L’obiettivo? Porre l’arte al centro di una trasformazione sociale responsabile. Occorre, però, un quartier generale, uno spazio di riferimento per mettere in atto tutte queste idee e propositi. Pistoletto lo individua in una vecchia manifattura dismessa alle porte della sua città natale. Nel 1998, dunque, nasce a Biella la fondazione Cittadellarte: centro culturale, residenza per giovani artisti provenienti da tutto il mondo, spazio espositivo, in sintesi “un arcipelago dell’arte” formato da tante anime.
Poco tempo dopo, nel 2003, anno in cui riceve il prestigioso riconoscimento del Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia, Pistoletto conia il concetto del Terzo Paradiso e il suo iconico simbolo: “Ho concepito il simbolo del Terzo Paradiso come una bussola che indichi la direzione da seguire. Ho pensato a un segno che fosse allo stesso tempo un riferimento al passato, una considerazione del presente e una proiezione del futuro. Il segno matematico d’infinito, composto da una linea continua che disegna due cerchi, consentiva questa sintesi. […] Nel presente si concentra una pressione fortissima, dovuta alla tensione, esponenzialmente cresciuta nell’ultimo secolo, tra la sfera naturale e quella artificiale. Ho sentito la necessità di liberare da tale pressione il punto cruciale che lega i due cerchi, aprendo un terzo cerchio: un’area pronta a ospitare il tempo futuro. Si è formato così il ‘nuovo segno d’infinito’, simbolo del Terzo Paradiso. Dal cerchio centrale, come in un ventre materno ingravidato dai due paradisi precedenti, naturale e artificiale, nasce la nuova umanità”.
Dal momento della sua concezione, questo simbolo si è moltiplicato e diffuso in svariati luoghi e contesti: a Venezia, nell’isola di San Servolo, scavato con l’aratro; ad Assisi, sotto forma di viale fiancheggiato da 121 ulivi; alle Terme di Caracalla, formato da antichi reperti architettonici; a Ginevra, nel parco del Palazzo delle Nazioni, attraverso 193 pietre, una per ciascun Paese membro dell’ONU… sono solo alcune delle innumerevoli manifestazioni di questo simbolo.
Da oltre vent’anni, tutte le attività e i progetti di Michelangelo Pistoletto sono volti a mettere in pratica, attraverso le arti, il messaggio del Terzo Paradiso, integrando armonicamente natura e artificio. Nulla di religioso nella scelta del termine “paradiso”: Pistoletto ha preso ispirazione dal significato che la parola ha nell’antica lingua persiana, ovvero “giardino protetto”, dunque luogo di una vita ideale e felice, protetta dall’aridità del deserto circostante.
È una missione ambiziosa e ammirevole quella di Michelangelo Pistoletto, animata dal desiderio di agire concretamente e di contribuire collettivamente al cambiamento, abolendo qualsiasi differenza, o meglio traendo forza dalle differenze (si pensi all’opera Love Difference, un grande tavolo che ricalca nella forma il bacino del Mediterraneo). “La mia eredità sarà uno spazio vuoto” ha affermato l’artista. Già, sarà uno spazio carico di nuove possibilità, in continuo divenire, da reinventare e trasformare, proprio come Pistoletto ha fatto fino ad oggi, considerando il fare arte come un laboratorio continuo, immerso nel mondo presente ma sempre rivolto al futuro.