Cinema

Emil Steinberger, un artista che sa toccare il cuore

Tipico, ma pur sempre eccezionale: “Typisch Emil” è il nuovo documentario del più celebre comico svizzero, omaggio ai suoi 90 anni di vita e carriera

  • Ieri, 16:07
Emil Steinberger

Emil Steinberger

  • RSI
Di: Red. 

“Tipico di Emil” (“Typisch Emil”), diretto dal regista lucernese Phil Meyer, già presentato lo scorso ottobre in occasione dello Zurich Film Festival, è il nuovo documentario che permette di immergersi nel caleidoscopico universo di Emil Steinberger, che ha conquistato la fama in Svizzera e oltre confine con numerosi spettacoli e programmi, uno tra tutti il film commedia “Der Schweizermacher” (I fabbricasvizzeri), diretto nel 1978 da Rolf Lyssy e di cui fu il protagonista indiscusso. Una longeva e straordinaria carriera, coronata adesso anche da questo documentario nel quale si intrecciano materiali d’archivio e testimonianze diverse, per raccontare il suo coraggio, l’amore e la sua continua capacità di reinventarsi.

Attore, regista, pittore, ma soprattutto cabarettista. Emil Steinberger ha fatto della comicità la sua vita e, indubbiamente, la sua fortuna. Classe 1933, Emil ha dapprima lavorato alcuni anni come impiegato postale, per poi fondare nel 1968 il cabaret Kleintheater a Lucerna con la sua prima moglie, Maja. Solo un anno dopo, all’età di 36 anni, arrivarono già i primi grandi risultati, che da allora non si interruppero praticamente mai. La sua esperienza di vita, in effetti, è talmente lunga da sembrare composta da più esistenze, una vita variata e ricca sotto molti punti di vista. La sua innata capacità di “abbozzare” lo svizzero medio, lo fecero conoscere anche in Germania, in Austria e persino nella Svizzera francese. E così, intere generazioni di svizzeri (e non) attraverso il suo talento hanno riso, pianto, riflettuto e imparato, sia che si esibisse dal palcoscenico di un teatro, oppure da quello del circo Knie. Fu poi lui stesso a dirigere un teatro e a gestire un cinema, per decidere persino di tentare fortuna anche Oltreoceano, trasferendosi a New York nel 1993; sei anni nei quali il comico lucernese visse da “Swissman in New York”, come riportò un’intervista in occasione del suo settantacinquesimo compleanno. Un’esperienza che certamente lo arricchì, ma che lo mise anche alla prova, soprattutto all’inizio: «Mi sono reso conto di cosa significasse sbarcare in una città straniera senza padroneggiare bene la lingua. Si ha paura di mischiarsi alla società e non riuscendo ad esprimere bene i propri sentimenti si passa per qualcuno di poco interessante. Ciò fa però anche del bene. Ormai so cosa significa essere uno straniero» (Swissinfo.ch, 2008).

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Una volta tornato in Svizzera, scelse il comune di Territet, nei pressi di Montreux, per far conoscere alla sua seconda moglie Niccel, incontrata nella Grande Mela e di origine tedesca, i diversi volti del suo Paese, cominciando appunto dalla regione di Vevey-Montreux che conosceva sin dai tempi delle tournée fatte con il circo Knie; un luogo che diventò la loro fissa dimora per ben 15 anni, anche grazie -racconta Emil- ad un personaggio storico: «a Territet siamo capitati davanti alla statua di Sissi (l’imperatrice austriaca che qui soggiornò frequentemente) e abbiamo visto che nella casa retrostante c’erano degli appartamenti in vendita. Ed eccoci qui… ormai abitiamo in questa casa dal 1999» (Swissinfo.ch, 2008). Per i romandi diventò allora il comico svizzero-tedesco per eccellenza che seppe farli ridere; traduceva lui stesso i testi dal suo dialetto al francese, per poi farli tradurre nuovamente ad altre due persone, così da ottenere un testo finale costituito da tutte e tre le versioni. Il successo arrivò velocemente anche in questo caso e, sebbene amasse questa nuova sfida, lui stesso confessò che in quel periodo gli capitava tornare spesso nella Svizzera tedesca, soprattutto per assistere a spettacoli teatrali nella sua lingua natia, di cui aveva un po’ nostalgia.
Dalla Romandia, la coppia decise poi di spostarsi a Basilea, continuando la loro unione non solo privata, ma anche lavorativa, in un connubio totale che dura ormai da oltre 20 anni e che ora li ha portati a co-produrre anche ‘Typisch Emil’.

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E il suo stile comico ha attinto propriamente dalle diverse esperienze fatte girando per il mondo e soprattutto per la Svizzera, mantenendo pur sempre però un deciso rigore narrativo: non ha mai voluto, ad esempio, cercare di far ridere utilizzando temi legati alla sessualità o alla volgarità in generale, perché credeva fermamente che ciò che più contava fosse proporre delle situazioni nelle quali il pubblico riuscisse ad identificarsi, da nord a sud, e riconoscendosi in esperienze vissute o in comportamenti comuni, istintivamente poteva nascere ilarità e condivisione in modo positivo; un meccanismo comico che gli è sempre valso ottimi risultati.

In questa sua ultima fatica, in effetti, c’è davvero tutto di lui: vita, amore, passione, lavoro, difficoltà. Un ritratto nel quale si possono conoscere le varie tappe della sua vita: dall’infanzia trascorsa in un ambiente di mentalità ristretta, dove tuttavia cominciò già a far emergere tra i banchi di scuola la sua vocazione alla risata, fino ad arrivare al raggiungimento dei suoi grandi successi, senza dimenticare però il prezzo da pagare per tutta quella fama. Un racconto-intervista inframmezzato dai suoi leggendari sketch, da estratti del suo film cult “Die Schweizermacher”, così come da immagini inedite.

“Typisch Emil” racconta dunque in modo commovente i 90 anni di Emil Steinberger, il cui impegno lavorativo è stato nuovamente riconosciuto nel luglio del 2024 con il premio alla carriera, conferitogli dallo Zurich Film Festival (ZFF). Perché nonostante il titolo del documentario, forse di tipico in Emil c’è davvero poco. Un uomo per il quale «la comicità è un’arte, l’arte di toccare il cuore, l’anima. Del resto, non mi considero un comico nell’accezione attuale del termine. Sono un cabarettista, è un’altra cosa» (Swissinfo.ch, 2008).
E forse allora, “Tipico di Emil” è più di ogni altra cosa il talento di “lasciare andare e ricominciare”, come ben recita lo stesso sottotitolo della pellicola.

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