Per il novantesimo compleanno di Corrado Augias (è nato a Roma, il 26 gennaio 1935) il quotidiano La Repubblica, per il quale ha lavorato tanti anni, inizia a mandare in edicola, settimana per settimana, sedici suoi libri – molti, ma in effetti solo una piccola parte della sua ampia attività di saggista, romanziere, giornalista. Tra di essi un posto di particolare rilievo lo occupano quelli dedicati al problema religioso, ed al cristianesimo in particolare, tutti scritti in forma di dialogo, ove il giornalista romano pone domande all’interlocutore, che figura come esperto della materia, anche se, in realtà, molte sono le pagine, introduttive ai vari capitoli e/o riassuntive, in cui Augias stesso espone il proprio pensiero. Un successo strepitoso, con centinaia di migliaia di copie vendute, a testimonianza dell’interesse della materia non solo tra gli specialisti, ma anche per il grosso pubblico, ebbe la Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo (2006), in cui il dialogo sulla cruciale questione di cosa possiamo davvero sapere di Gesù, al di fuori di quanto la dogmatica ha poi costruito intorno a lui, è col biblista bolognese Mauro Pesce. Il libro alimentò la polemica, in quanto alcuni cattolici, come il gesuita Giuseppe De Rosa su La Civiltà cattolica, accusarono il libro di aver sferrato un attacco frontale contro la fede cristiana, negando elementi per essa fondamentali, come la divinità di Gesù, la concezione verginale, la resurrezione. Augias replicò, sulle pagine de La Repubblica del 1 dicembre 2006, rivendicando il diritto di esercitare l’indagine sul Cristo della storia, distinto dal Cristo della fede. Lo straordinario successo dell’opera portò, due anni dopo, alla pubblicazione della Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione, in cui si sviluppava in un certo senso la tematica del libro precedente, dialogando con lo storico milanese del cristianesimo Remo Cacitti, La materia era in questo caso un po’meno delicata, ed anche le polemiche furono minori. Nel 2013 uscì un terzo volume, stavolta dedicato alla Madonna: Inchiesta su Maria. La storia vera della fanciulla che divenne mito, e qui di nuovo si andò incontro a problematiche scottanti – prime fra le quali la questione della verginità e delle apparizioni di Maria – per cui Augias chiudeva il libro rivolgendo al lettore la preghiera di «giudicarlo - e nel caso criticarlo – per quello che contiene, e non liquidarlo con una serie di generiche contumelie, come purtroppo avvenuto talvolta in passato». Siccome la sorte ha voluto che chi scrive queste righe fosse l’ “esperto” del caso, mi permetto di riportare qui alcuni ricordi personali e di fare alcune considerazioni generali.
Quando ci incontrammo per valutare l’opportunità di lavorare insieme, prima preoccupazione di Augias fu quella di capire chi aveva davanti, ovvero se si trattasse di un “credente” o no, premettendo anche che il misticismo gli era del tutto estraneo e sospetto in ogni sua forma. Procedendo nel lavoro, per quasi un anno, manifestò però un crescente interesse verso tematiche e punti di vista prima a lui ignoti. Che il mistico non sia il terreno del visionarismo, ma, al contrario, il pieno dispiegarsi della razionalità, per cui la mistica, come sostiene Pierre Hadot, è la vera continuatrice della filosofia classica, era una novità, per cui Augias onestamente si rivolge al sottoscritto scrivendo: «Ci sono anche aspetti positivi nel suo misticismo, ammetto». L’apertura a conoscenze nuove, anzi, la curiosità intellettuale, resta per me uno dei tratti più significativi, in senso positivo, del giornalista romano. Non a caso ci trovammo d’accordo nel condurre la ricerca seguendo l’unico criterio della razionalità, persuasi entrambi che l’onestà della ragione conduca a una sostanziale concordia, anche su questioni scottanti, come quella delle visioni o dei miracoli. Da parte mia, apprezzai sempre di più il “mestiere” del giornalista, la sua capacità di scrittura, la sua preoccupazione di esser comprensibile da tutti i lettori, consapevole della crassa ignoranza in materia religiosa in cui sono immersi gli italiani, compresi i cosiddetti credenti - anche se ciò mi costrinse a rivedere più volte i testi che gli mandavo.
Alla fine del libro, al momento di esporre ciascuno le proprie conclusioni, Augias scrive comunque che Maria «ispira, anche a un non credente, sentimenti di serena partecipazione. La sua, anche da un punto di vista laico, è la figura di una “mediatrice” in una religione caratterizzata da grande rigidità e da norme che si pretende di imporre a tutti come “non negoziabili”».
«Non credente», «laico»: così il giornalista romano continua infatti a definirsi, e in ciò la sua posizione va oltre il caso personale, essendo comune alla maggior parte della classe comunemente indicata come “intellettuale”. Nel nostro tempo, lucidamente indicato già da Nietzsche come quello della “morte di Dio”, ovvero dopo l’illuminismo, la filologia e la ricerca storica contemporanea, è in effetti molto difficile, per non dire impossibile, onestamente credere a vicende in cielo ed in terra, fondate su racconti di carattere mitologico. Questo lo riconosce ormai anche la teologia contemporanea, che spesso si definisce perciò post-teista. Il problema però è più a monte: bisogna chiedersi infatti se la fede consista in una credenza, che fornisce “verità”, diverse e spesso contrapposte a quelle della scienza, o non invece nel movimento dell’intelligenza verso l’assoluto, che toglie via ogni credenza, sempre e comunque relativa, e conduce alla conoscenza di se stessi, «dalla quale, come da suo fondamento, deriva quella di Dio», come scrive san Giovanni della Croce. Fede non credenza, dunque, ma distacco, e in particolare distacco dall’egoità, secondo l’insegnamento di Gesù, che a chi vuole seguirlo chiede innanzitutto di rinunciare a se stesso. Se poi ci domandiamo perché questa “lettura” del cristianesimo sia rimasta marginale, per non dire occultata, da quella ecclesiale prevalente, la prima, ovvia, risposta è che sul distacco e l’abbandono dell’egoità non si può costruire una dogmatica, e quindi neppure una chiesa. Come è poi facile comprendere, questa constatazione apre a ulteriori, gravi, domande sulla chiesa stessa e sul cristianesimo in generale. A queste, e simili, riflessioni, hanno il merito di invitarci i libri di Augias cui abbiamo qui accennato.
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