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Unità dei cristiani, ripartire da Nicea?

1700 anni fa si tenne il primo Concilio ecumenico dei cristiani - Eredità condivisa fra tutti i cristiani, fu decretata la natura insieme umana e divina di Gesù Cristo, “figlio di Dio, nato dal Padre, Dio da Dio”

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1700 anni di Credo di Nicea

Chiese in diretta, Gaëlle Courtens (con la collaborazione di Chiara Gerosa) 19.01.2025, 18:00

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Di: Gaëlle Courtens (con la collaborazione di Chiara Gerosa) 

“Credi tu questo?” è il versetto biblico tratto dal Vangelo di Giovanni (11, 26) proposto quest’anno per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (SPUC) (18-25 gennaio).

Ma perché quest’anno è stato scelto proprio questo versetto incentrato sul credere, o meglio: sulla qualità della fede? E ancora: cosa c’entra il Credo niceno-costantinopolitano, vecchio di 1700 anni? Quest’anno la ricorrenza, che vede unite tutte le confessioni cristiane del mondo, ha senza dubbio una valenza un po’ diversa del solito.

Ne parliamo con una cattolica e un protestante, rispettivamente con la professoressa Simona Negruzzo, docente alla Facoltà di teologia di Lugano, e con il teologo valdese Fulvio Ferrario.

1700 anni fa si tenne il primo Concilio ecumenico dei cristiani. Fu convocato a Nicea (oggi in Turchia) nel 325 d.C dall’imperatore romano Costantino. Da questo Sinodo scaturì il Credo niceno-costantinopolitano, che vede d’accordo ancora oggi tutti i cristiani e tutte le cristiane, nonostante la diversità e la pluralità confessionale. Parliamo di un’eredità condivisa: qui fu decretata la natura insieme umana e divina di Gesù Cristo, “figlio di Dio, nato dal Padre, Dio da Dio”.

“Il punto cardine del Credo niceno-costantinopolitano, confessione cristologica comune, è l’affermazione per cui si professa Gesù Cristo come figlio di Dio consustanziale al Padre”, spiega Simona Negruzzo.

Non è semplice per noi nel 21esimo secolo comprendere concetti come quello, appunto, citato da Simona Negruzzo, docente alla Facoltà di teologia di Lugano. Fulvio Ferrario prova ad offrire una lettura più contemporanea. “Se dovessi rendere oggi il significato di quel Concilio, direi: a Nicea i cristiani e le cristiane hanno deciso che il nome del Dio di Israele per la fede cristiana non può essere dissociato dalla storia di Gesù. Chi vuole conoscere Dio deve guardare a Gesù di Nazareth. Questo è quello che dice il Credo di Nicea ed è condiviso da tutte le chiese”.

Tra gli altri punti centrali relativi al Credo di Nicea e citati da Simona Negruzzo per l’importanza che hanno nel dialogo ecumenico ancora oggi, c’è la sinodalità e la data della Pasqua (che proprio quest’anno, per un caso molto felice, cade per tutte le chiese cristiane il 20 aprile, sia che seguano il calendario gregoriano, sia che seguano quello giuliano). Significativamente Simona Negruzzo aggiunge il tema del rapporto tra chiesa e autorità politica, e ricorda come la separazione tra chiesa e Stato si sia ormai verificata in Occidente, mentre nella chiesa d’Oriente questo non è il caso. Piuttosto, “si è affermato un legame molto stretto tra il governo statale e l’autorità ecclesiastica. Un tema che tocca settori altamente sensibili, ma che non può essere tenuto ai margini dei dialoghi ecumenici”, dice Simona Negruzzo.

Ovviamente, di temi ecumenici sensibili, e che vanno ben al di là del Credo di Nicea, ce ne sono diversi. A Fulvio Ferrario abbiamo chiesto: quel testo è oggi ancora un punto di riferimento per l’unità della chiesa? “Io direi di sì, in quanto è sottoscritto da tutti - ha detto Ferrario -. Poi, le chiese rimangono divise su altri punti. Ad esempio, una domanda che secondo me oggi è decisiva, è: esistono o non esistono guerre sante? Non è un problema solo politico, è un problema che ha a che vedere con l’identità di Gesù. Quindi, per definire l’unità della chiesa non basta oggi sottoscrivere le antiche parole di Nicea, per importanti che esse siano. Bisogna guardare a Gesù di cui Nicea è un’interpretazione, e in nome di Gesù prendere le decisioni che il nostro tempo richiede”.

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