La visita della vecchia signora

“La visita della vecchia signora” non è solo la più acclamata pièce teatrale di Friedrich Dürrenmatt, è una potente esperienza di ipocrisia, cinismo, miseria. L’autore mette in scena una proposta indecente, ma soprattutto lascia che il silenzio faccia il suo corso, scavi le sue gallerie dell’orrore.

Claire Zachanassian, nata Wäscher, è un’anziana milionaria di quelle che, se vogliono scendere alla stazione di una piccola cittadina povera e decaduta, per esempio a Güllen, tirano il freno di emergenza. Agli impiegati della ferrovia distribuisce poi poche decine di biglietti da mille, giusto per far capire che ogni cosa, su questa terra, ha un prezzo.

La signora Zachanassian conosce molto bene il valore del silenzio. Sa che può essere la colonna sonora dell’amore, spezzata dai gemiti e dai sospiri, ma può anche diventare uno strato di guano che copre e insozza tutto. Perché bastano una bugia e la complicità di un paese per distruggere una vita.

Quarantacinque anni prima, infatti, lei e Ill erano malati d’amore. Si baciavano sulle pietre del fiume, tra le fronde del bosco e nei fienili.

Quando l’effetto di quei baci le aveva gonfiato il ventre, però, Ill si era dimenticato della magia e si era messo a fare i calcoli. L’aveva ripudiata preferendole la benestante figlia del merciaio.

Quattro parole messe lì, lievi lievi: “Non è figlio mio”. Ed ecco che il silenzio spietato del paese spinge Claire a fuggire, a sbottonarsi il vestito per soldi in un bordello di Amburgo. È lì che un eccentrico miliardario la sposa e la rende capace di tutto.

Ora Claire Zachanassian nata Wäscher ha tirato il freno d’emergenza del treno. È scesa alla stazione e ha in mente di spendere a Güllen una cifra tonda come un laccio intorno al collo: un miliardo di franchi. Ciò che vuole in cambio è il corpo morto del suo principe azzurro, Ill.

“La visita della vecchia signora” di Friedrich Dürrenmatt non è solo una storia di vendetta o di giustizia messa all’asta. È un’esperienza collettiva di ipocrisia sociale. Perché la verità è che i nostri valori sono in vendita come tutto il resto. Ma forse è meglio fare finta di non saperlo.