Letteratura

Michail Zoščenko, il giullare-filosofo del popolo russo

Oggi sconosciuto ai più, fu il faro della satira sovietica

  • Ieri, 13:55
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Di: Lucrezia Greppi

Il giullare Stańczyk, dallo sguardo assorto e la lingua affilatissima, ben somiglia a Michail Zoščenko (1894 -1958), tra gli scrittori più amati e incompresi della Russia sovietica. Lo schivo e malinconico «re della risata», come era definito dai suoi contemporanei, a differenza del suo mitico “predecessore”, fu spesso scambiato per un buffone, un semplice umorista, quando in realtà la sua arguzia era pari a quella dei migliori giullari, capaci di rivelare le verità più scomode e dolorose col sorriso.

Michail Zoščenko ebbe un successo straordinario: riviste, giornali ed editori se lo contendevano, il pubblico divorava le sue opere e c’erano persino degli impostori che si spacciavano per lui. La sua fama, appuntò Sergio Pescatori, «ondeggiò paurosamente tra l’entusiasmo delle masse dei lettori e l’ostracismo della critica ufficiale», che stroncava i suoi racconti, riducendoli ad esperimenti pseudoletterari poco più lunghi ed edificanti di una barzelletta. Il riso era invece il mezzo e non il fine di Zoščenko. Scuotere le coscienze del popolo, più che criticare il potere, era il suo obiettivo.

Sia il pubblico sia la critica si fermavano tuttavia alla superficie del testo, motivo di non poca frustrazione per lo scrittore russo. Lo testimoniano due amici di Zoščenko: «le risate dei lettori lo amareggiavano profondamente», scrisse Jurij Pavlovič Annenkov, perché nelle sue opere, «dietro all’umorismo» nascondeva «la tragica essenza della realtà sovietica contemporanea»; i lettori, aggiunse Nadežda Mandel’štam, «pigliavano tutto per “umoristico” e sghignazzavano con nitriti da cavalli». Zoščenko rimase «impigliato nel suo cliché», notò Pescatori: costretto dal meccanismo del successo, sfornava racconti nel genere più apprezzato dal pubblico (il racconto breve); quando si discostava da ciò cui erano abituati (come con le novelle), i lettori ne erano scontenti e la critica disorientata, non riuscendo ad inquadrare lo scrittore in una precisa corrente letteraria o politica.

«Non sono comunista, non sono un socialrivoluzionario e non sono monarchico, sono solo russo, e per di più politicamente amorale», dichiarava Zoščenko in Io, l’ideologia e qualcosa d’altro, dove pure confidava che era diventato uno scrittore a causa di un “vizio cardiaco” (conseguente all’avvelenamento da gas subito durante la Prima guerra mondiale), altrimenti avrebbe fatto l’aviatore. «Io ho sempre simpatizzato con le opinioni del centro» scrive in Le delizie della cultura, e precisa: «quando all’epoca del comunismo di guerra hanno introdotto la NEP, non ho protestato. Se dev’essere NEP, d’accordo. Lo saprete voi». Di certo, suggerisce Zoščenko, la Nuova politica economica non ha risolto l’emergenza abitativa in Russia. Se all’operaio del racconto Pubblicità all’americana viene offerta «una cucina con uso di camera» al protagonista di Crisi non va molto meglio: «Per trenta rubli», dice l’affittuario al malcapitato, «la posso sistemare nella stanza da basso. È un appartamentino da signori. Tre gabinetti… Un bagno… Nel bagno ci stia pure»; una soluzione ingegnosa che ha pure i suoi vantaggi: «se vuole si fa scendere una vasca piena d’acqua e ci si tuffa anche tutto il giorno». Un’idea geniale per porre fine alla crisi degli alloggi la aveva offerta lo stesso Zoščenko in Nuovi orizzonti: sfruttare la «superficie abitabile del soffitto».

E se rinascesse Gogol’? Secondo Zoščenko potrebbe giusto permettersi una stanzetta di sei metri quadri, dove potrebbe scribacchiare robetta di basso conto: «le cose grosse» non vanno bene, puzzano di «libera professione». Ciononostante la critica gli farebbe vedere i “sorci verdi”, chiedendogli conto delle sue idee politiche e persino dei suoi guadagni. Che sia un mestiere difficile – «È dura, compagni, fare lo scrittore!» concludeva in Il compagno Gogol’ – lo ribadisce in Il parassita, una esplicita «confessione d’autore», firmata “Z.”. Il protagonista è Vasja Kučkin, uno scrittore che ha persino pubblicato un romanzo e ne ha addirittura ricavato qualcosa. Il capocaseggiato gli aumenta dunque l’affitto, lui scrive un altro libro, i parenti gli cercano soldi, lui scrive un altro libro e così via, sino all’esaurimento del poveretto.

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La soluzione alla crisi degli alloggi (“Nuovi orizzonti”, in “Allegri progetti”, 1928

Nevrotici, furfanti e arrivisti popolano le pagine di Zoščenko e danno vita a storie tragicomiche pervase da quella che lo stesso autore definì una «filosofia ingenua»: guerre condominiali scatenate dal furto di un banale scopettino (Gente nervosa), liti furibonde divampate per un calice scheggiato (Il bicchiere); amori che finiscono per un pasticcino (L’aristocratica), altri che iniziano per una dozzina di cucchiaini ricevuti in dote (Matrimonio di convenienza), ed altri ancora che vacillano a causa di un paio di eleganti gambaletti (La paziente) che fanno sentire inadeguata la moglie di un rispettabile deputato sovietico: l’abito, si sa, fa il monaco. Bastano delle squisite frittelle a far perdere la testa agli uomini (Carnevale allegro) e i “quattrini” a far luccicare gli occhi delle donne (Ljal’ka Cinquanta), ma i soldi, si capisce, interessano a tutti: per cinque rubli mancanti un clochard che scoppia di salute e si finge monco arriva a ricattare il suo benefattore (Il mendicante), mentre i quaranta rubli ottenuti da un vetraio e spesi a bere sono il momento più alto della sua esistenza (La fortuna). Il segreto della vita, dirà l’ex misantropo Ivan Alekseevič Zotov, «non sta nel disprezzare gli uomini, ma nel fare le stesse cose da nulla che fanno loro: andare dal barbiere, darsi da fare, baciare le donne, bere, comprare lo zucchero» (La saggezza).

Storie comiche e tragiche, nella loro estrema lucidità, sono pure quelle che rivelano i mali di ogni tempo e che di certo non conoscono confini geografici. A chi non è capitato di rimbalzare da un ufficio all’altro? In Zoščenko si lotta per una sovrascarpa persa in tram, ma di certo vi sarà capitato di toccare con mano i tempi infiniti della mala burocrazia. E a chi non è venuta la tentazione di alzare la voce, quando persino ottenere una pratica diventa impossibile? Kul’kov Fëdor Alekseevič è l’“eroe” di Lungaggini burocratiche, avendo brevettato un sistema infallibile: persa la pazienza, crea un gran scompiglio, ed ecco che ottiene subito il documento che attendeva da tutto il giorno. I tempi, però, sono cambiati: non servono più conoscenze particolari per trovare un lavoro, basta il passaparola (Raccomandazioni); le bustarelle non vengono più accettate, solo le mance, e le ruberie sono cessate, o quasi, si ruba poco e con garbo (Cascato dalla luna); d’altra parte, se venissero tagliate le mani a chiunque si appropri della roba d’altri, si avrebbe «una valanga d’invalidi» (I ladri) e se esistesse un cane che smaschera i furti e le ipocrisie della gente seminerebbe di certo il panico (Fiuto da cani).

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Ritorno all’antico per combattere le lungaggini burocratiche (“Piccionizzazione degli uffici”, in “Allegri progetti”, 1928)

C’è un solo e grande assente negli scritti di Michail Zoščenko: l’“Uomo Nuovo” della Rivoluzione, e questo per un semplice motivo: egli rappresentava la realtà così com’era e non come avrebbe dovuto essere, secondo coscienza e non seguendo un’ideologia. L’ironia della sorte è che Zoščenko mirava a «riqualificare il lettore» con il riso: facendo luce sulle storture della società voleva fare in modo che i suoi concittadini si allontanassero dalle «abitudini borghesi e volgari». Il Partito non lo comprese – lo definirono un «piccolo borghese calunniatore della vita sovietica» – o non volle farlo: la «Musa del Riso» come scrisse Lidija Čukovskaja, è «un potere rivale» che il regime sovietico non poteva tollerare.

Ridere con Dio 

Alphaville 18.06.2024, 11:45

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