Anniversari

Anatomia di una caduta

50 anni di Rock Bottom, il capolavoro di Robert Wyatt

  • Ieri, 12:00
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Di: Michele Serra

Nel giugno del 1973, a Londra, Nick Mason ricevette due messaggi dal suo amico Robert Wyatt. I due si conoscevano da un po’: le loro band, Pink Floyd e Soft Machine, erano stelle nel cielo del rock progressivo inglese dell’epoca (certo, i primi erano molto più ricchi) e si erano ritrovate spesso a condividere il palco. In quel periodo, però, Wyatt aveva lasciato i Soft Machine e formato i Matching Mole, gruppo che si era sciolto dopo aver pubblicato due album in un solo anno, e che Wyatt stava cercando di rifondare con nuovi musicisti.
Ma torniamo ai due messaggi arrivati a Nick Mason, a brevissima distanza l’uno dall’altro: il primo gli chiedeva di produrre il terzo disco dei Matching Mole. E questo Mason se lo poteva aspettare. Il secondo, no: comunicava che Wyatt era caduto dal quarto piano di una casa dell’elegante quartiere di Maida Vale, a pochi passi da Regent’s Park.

Le poche righe arrivate a Mason non fornivano i particolari, ricostruiti in seguito, un pezzo del puzzle alla volta: 1) la casa era di “Lady” June Campbell Cramer, cantante, poetessa, pittrice e protagonista della scena musicale prima di Canterbury e poi di Londra tra Sessanta e Settanta. 2) Quella sera era in corso una doppia festa di compleanno, per la stessa June e per Gilly Smith, co-fondatrice di un altro gruppo fondamentale del Canterbury sound, i Gong. 3) Robert Wyatt non era stato spinto giù dalla finestra: i ricordi, suoi e dei testimoni, variano nel corso del tempo, come capita quasi sempre alla memoria umana, ma senza dubbio era caduto da solo. O per sua volontà. Nessuno lo sa, neanche Wyatt, che ha ammesso in alcune interviste che forse il suo era stato un tentativo di suicidio, causato da uno stato depressivo in seguito allo scioglimento dei Soft Machine e dei Matching Mole, dalla rottura con la madre del suo unico figlio, Pam Howard. Molti dei presenti alla festa, però, dicono che, in preda ai fumi dell’alcol, Robert abbia semplicemente cercato di “evadere” dalla casa scendendo lungo il tubo della grondaia.

Le uniche certezze sono due: Robert è caduto, e quella sera era ubriaco oltre ogni limite, anche per i suoi standard.
La vita dei musicisti a Londra in quegli anni non era certo fatta di centrifughe di sedano e zenzero, lo sappiamo: tra Abbey Road e l’East End le sostanze stupefacenti scorrevano a fiumi. Robert Wyatt, però, era poco avvezzo ai narcotici illegali e amava solo gli alcolici, a cui era arrivato in età ormai adulta: le origini di quella passione le trovava nel tour americano del 1968, in cui i Soft Machine avevano fatto da spalla alla Jimi Hendrix Experience. Per suonare davanti a migliaia di persone che non vedevano l’ora ti togliessi di mezzo e lasciassi spazio a Jimi, diceva Wyatt, era necessario un aiutino, giusto per sciogliersi un po’. E allora, alternare shot di tequila e Southern Comfort – liquore del Tennessee non esattamente raffinatissimo – poteva risultare utile. La tecnica del resto gliel’aveva insegnata Keith Moon, che di sbronze un pochino se ne intendeva. Così, il lustro 1968-1973 sarebbe stato ricordato da Robert Wyatt come quello dell’alcolismo distruttivo. Fino alla caduta.

Rock Bottom, un capolavoro nato a Venezia

Ecco, di solito quella caduta è il punto di partenza della storia di Rock Bottom, l’album che diede il via alla carriera solista di Robert Wyatt, e alla sua seconda vita non solo musicale. In realtà però quel disco nasce prima, tra le calli e i campielli della città più bella e incredibile al mondo. Nell’inverno del 1972, infatti, Wyatt era a Venezia con la sua fidanzata Alfreda “Alfie” Benge. L’aveva conosciuta qualche mese prima al concerto di debutto dei Matching Mole a Londra, e aveva capito subito che quella donna sarebbe stata la più importante della sua vita, anche più della già citata Pam. Alfie non aveva un soldo, ma un sacco di amici nell’ambiente creativo della Londra dell’epoca. Lavorava come assistente al montaggio per il regista Nicolas Roeg, che qualche anno dopo avrebbe diretto David Bowie in L’uomo che cadde sulla Terra, e lì stava girando il thriller A Venezia... un dicembre rosso shocking (notevole, a dispetto del titolo italiano). Alfie era amica di Julie Christie, attrice protagonista del film, sua ex-vicina di casa ora lanciata nel firmamento del cinema inglese, che le aveva proposto di condividere la casa veneziana. Così, Robert si trovava in vacanza in Italia, in una casa con due coinquiline che lavoravano sempre, e avevano poco tempo da dedicargli. La situazione non gli piaceva. L’idea stessa di vacanza non gli piaceva: «è come accumulare volontariamente del ritardo nella tua vita», diceva. Così, capito che l’ozio non si confaceva a un’artista che fino a quel momento aveva vissuto un’esistenza frenetica, Alfie comprò al suo uomo un organetto Riviera, poco più di un giocattolo trovato in un negozietto della città. Su quello strumento Robert cominciò a comporre le canzoni che sarebbero finite dentro Rock Bottom, con il vibrato scintillante del Riviera che gli ricordava lo sciabordio dell’acqua che sbatteva sugli attracchi dei vaporetti – o almeno, così racconta il biografo ufficiale di Wyatt, Marcus O’Dair, nel suo Different every time. Alla fine della vacanza, non solo Robert non aveva perso tempo, ma aveva quasi composto un album. Al quale però mancavano due pezzi: Alfie, e la caduta.

Robert Wyatt dopo la caduta

Della seconda ho già raccontato una parte, c’è da aggiungere che quando Robert si risvegliò in ospedale e gli comunicarono che non avrebbe camminato mai più, accolse quel fatto senza traccia di disperazione. Anzi, chi era con lui in quei giorni ricorda soprattutto il suo umorismo cinico e surreale, lo stesso che speso ritroviamo nei suoi testi. Pare che, alla madre accorsa al suo capezzale, Robert abbia detto per prima cosa: «Non ti preoccupare, mamma. Sono sempre stato un bastardo pigro». Forse si trattava solo di un meccanismo di difesa, di un modo per negare una realtà drammatica, eppure funzionò: Wyatt reagì con grande energia sia dal punto di vista artistico che da quello pratico. Un piccolo aiuto da parte di alcuni amici non guastò: visto che le sue finanze non erano floride, i Pink Floyd misero in piedi un concerto di beneficenza per fare fronte alle prime spese, raccogliendo oltre diecimila sterline dell’epoca; Warren Beatty, all’epoca fidanzato con la già citata amica Julie Christie, si offrì di pagare a Robert una casa di cura privata (lui rifiutò, rinnovando la sua fiducia nel sistema sanitario nazionale britannico); la stessa Julie comprò un appartamento a nord di Londra, e lo offrì gratuitamente a Robert e Alfie; un’altra amica, Jean Shrimpton, icona della Swingin’ London e prima top model dell’era moderna, regalò loro la sua automobile.
Negli anni Wyatt è arrivato perfino a sostenere che l’incidente fu la sua occasione di cambiare vita, anche dal punto di vista musicale: non poteva più suonare compiutamente il suo strumento, ma da Rock Bottom in poi sarebbe stato conosciuto dal mondo come cantautore, non semplice batterista.

La parte più importante dell’equazione che portò a Rock Bottom, però, fu senza dubbio Alfie: non solo semplice musa ispiratrice di diverse canzoni, disegnò la copertina, offrì molti suggerimenti chiave, il segmento di poesia spoken word contenuto in Alife, e perfino il titolo dell’album. Soprattutto, prese la decisione di lasciar perdere la sua carriera nel cinema – che, prima dell’incidente, si trovava tutt’altro che a un punto morto – per aiutare Robert, fino a fargli da manager. Il già citato Marcus O’Dair paragona la relazione tra Alfie e Robert a quella tra Tom Waits e sua moglie Kathleen Brennan, la donna che riuscì a fargli compiere il salto da semplice artista alternativo a icona della musica mondiale.

Rock Bottom, insomma, è certo farina del geniale sacco musicale di Robert Wyatt, e tuttavia non sarebbe potuto esistere senza l’amore e le amicizie che aiutarono quel ragazzo – che, ricordiamolo, non aveva ancora trent’anni – a superare la sua caduta. Nick Mason, alla fine, quell’album lo produsse («Il lavoro da produttore che mi ha soddisfatto maggiormente in tutta la vita», disse anni dopo). Mike Oldfield offrì un assolo epico a Little Red Robin Hood Hit the Road. Il poeta scozzese Ivor Cutler, i suoi versi a chiudere entrambi i lati del disco.
Così, non stupisce che Sea Change, canzone di apertura di Rock Bottom, si chiuda con una frase che libera tutta la tensione di una vita andata – davvero – incontro a un cambiamento epocale: «We’re not alone», non siamo soli. La consapevolezza che definisce un inno dolceamaro alla vita, una preghiera laica e malinconica. L’incipit di un capolavoro che ha ancora un effetto terapeutico in chi lo ascolta, a cinquant’anni di distanza dalla prima pubblicazione.

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Classic Rock 21.07.2024, 14:00

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