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Egopusher, “la magia arriva e ti benedice”

I dieci anni di un sodalizio prolifico e innovativo che non ha simili nel nostro paese

  • 26 gennaio, 12:47
  • 21 febbraio, 15:34

Egopusher - 10 anni di musica,amicizia, pizza e sperimentazione

Confederation Music 24.01.2024, 08:50

Di: Marco Kohler/Red.

Dieci anni fa, il violinista Tobias Preisig e il batterista/produttore Alessandro Giannelli avevano sperimentato l’unione inedita dei loro mondi musicali e della loro strumentazione. Ciò che all’apparenza sembrava un matrimonio improbabile, si è trasformato in un sodalizio prolifico e innovativo che non ha simili nel nostro paese: Egopusher.

In dieci anni d’attività discografica Egopusher hanno pubblicato 2 Ep, 1 album e un mixtape. I loro singoli sono stati remixati e loro stessi si sono lanciati nel mondo dei remix. È una dimensione musicale strumentale, cinematografica, elettronica e club, techno ma anche ambient; paesaggi sonori unici che nascono dalla combinazione di violino, batteria, drum-machine e sintetizzatori e che dal vivo assumono un carattere epico.

Confederation Music è andata a Zurigo, al Moods, a vedere lo show per il decimo anniversario di Egopusher e a raccontare - qui sotto uno stralcio del colloquio - il segreto di questo suggestivo progetto.

«Siamo un duo che è rimasto tale. Ci piace ancora molto fare musica insieme. Abbiamo fatto tanta strada, ci siamo sviluppati parecchio. Ogni album ha rappresentato un cambiamento naturale. Siamo semplicemente felici di festeggiare il nostro decimo anniversario e super entusiasti di vedere cosa ha in serbo il 2024 per Egopusher. Siamo ancora tanto amici, il che non è scontato. Dopo dieci anni di storia ci piace ancora tanto fare musica insieme».

Qual è il segreto del vostro sodalizio?

Il segreto è andare regolarmente a mangiarsi una pizza, condividere del tempo al di fuori della musica e lo facciamo spesso. Usciamo a cena, andiamo sempre nello stesso ristorante da dieci anni. È molto importante avere momenti in cui non lavori, ma hai uno scambio.

Viviamo un’epoca di grande individualismo, di egocentrismo e narcisismo. Egopusher è un nome che suona attuale...

Per noi il nome Egopusher rappresenta un momento della nostra storia, l’inizio, quando ci scambiavamo le idee e dicevamo: “Questa è una bella spinta per l’ego per questa giornata”. Nasce da un’affermazione, è una sensazione. Non è l’ego fine a sé stesso, è piuttosto una cosa del tipo: “Mi sento bene con questa musica che possiamo fare solo insieme”. È più un sentimento che una dichiarazione politica.

La storia discografica di Egopusher inizia nel 2015 con la pubblicazione del singolo Purple Pit...

È stata la nostra prima registrazione. Siamo andati in studio a Zofingen. Eravamo reduci da una settimana trascorsa in Borgogna, in Francia, dove abbiamo sperimentato per la prima volta la registrazione multitraccia. Credo che Purple Pit sia nata lì, tra le altre. C’è un’altra bella storia. Noi volevamo suonare dal vivo il più possibile, perché all’epoca nessuno mescolava violino, batteria. Era una novità per tutti, noi compresi. Quindi ogni concerto era una buona opportunità che fosse all’interno di spazi off, nei musei o negli squat. L’importante era suonare, suonare e suonare. Poi un giorno mio zio mi ha detto: “Va’ in studio, registra una canzone, te la pago io”. Abbiamo colto l’opportunità e abbiamo registrato un brano in un giorno. Il primo brano che ovviamente non è nato in studio, ma fuori.

Preisig esplora ogni applicazione immaginabile del suo strumento con l’elettronica. Perché?

Colpa di Alessandro. Quando abbiamo iniziato non sperimentavo ancora con l’elettronica. Eravamo nella sala prove della sua band, dove c’erano molte attrezzature e lui mi ha suggerito di provare a passare il violino dentro un pedale per chitarra. E così ho scoperto il potenziale nascosto di questo strumento che fa parte di me e che non lascio mai in giro. Quindi se riesco a fare musica contemporanea, moderna ed emozionante con lo strumento che mi appartiene, è un po’ come se avessi vinto su tutti i fronti.

La ricerca del suono sembra centrale nella produzione di Egopusher. Parte tutto dal suono o dalla struttura?

Credo che all’inizio la ricerca del suono fosse estrema. Ogni album ha un suono leggermente diverso, quindi direi che ci sia ancora una ricerca. Però abbiamo capito che le strutture sono fondamentali nella musica strumentale e recentemente abbiamo investito più tempo su quelle piuttosto che nel suono. Per noi è importante scrivere canzoni, anche se facciamo musica strumentale. Inoltre, va ricordato che quando facciamo musica insieme iniziamo sempre da una jam session. Non discutiamo, registriamo tutto. Soltanto dopo affrontiamo la struttura.

“Patrol” apriva l’album Blood Red del 2017. Questo singolo spicca per la quantità di streaming, più di 1,7 milioni. Perché ha fatto breccia così tanto nel pubblico?

Questa è l’alchimia di un successo. In realtà nessuno sa esattamente il perché. È un successo per noi, ma non lo è per il mondo. La stragrande maggioranza degli artisti non è in grado di spiegare le ragioni del successo di una propria canzone. “Patrol” in qualche modo colpisce il cuore delle persone e noi stessi ne siamo sorpresi, ma non sappiamo perché. E ovviamente vorremmo solo fare canzoni come quella. Ma è una magia e la magia non puoi comprarla o costruirla. Semplicemente arriva e ti benedice.

Sulla copertina di Blood Red di Egopusher del 2017 c’erano le facce pitturate di rosso sangue. Che cosa rappresentavano?

È stata fatta dal nostro grafico, Nüel Schoch, a cui abbiamo dato carta bianca. Gli abbiamo soltanto detto: “Il nostro album si chiama Blood Red. Fai quello che ti viene in mente”. Stavamo bevendo una birra quando ci ha inviato la sua idea e ci siamo detti: “Wow! Eccola!”. Ci sono così tante personalità nascoste in quella copertina, una complessità che trovo molto eccitante. Perché ti chiedi, chi è? Perché ha il volto coperto? Perché è lì? Rappresenta anche la varietà di colori dell’intero album.

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