Musica rock

L’hardcore che mira al cuore di “Zen Arcade”

Uscito il primo luglio 1984, il doppio album degli Hüsker Dü darà una scossa al punk e contribuirà alla nascita del rock anni ‘90

  • 1 luglio, 08:00
06:24

Babylon’s Burning: Zen Arcade

Maurizio Forte 01.07.2024, 08:00

  • Bob Mould degli Hüsker Dü, in un'immagine recente (Daniel DeSlover)
Di: Andrea Rigazzi 

Più che un disco, una rivelazione. Si può viverlo così questo album, quasi con un senso di apertura mistica verso il rumore chitarristico. Con “Zen Arcade” gli Hüsker Dü imprimono una svolta alla loro carriera e al rock nel suo insieme. Un cambiamento che si disvelerà per intero solo nel decennio successivo.

Fino a quel primo luglio 1984, il trio del Minnesota si era distinto per una potente quanto sapiente combinazione di punk hardcore e reminiscenze melodiche beatlesian-byrdsiane. Asse portante della formazione sono Bob Mould e Grant Hart, rispettivamente chitarrista/cantante e batterista/cantante, che si spartiscono gran parte dei meriti compositivi e quelli interpretativi. Il duo è coadiuvato dal baffuto Greg Norton, che rimpolpa il tutto con il suo basso.

Dicevamo dello scossone assestato da “Zen Arcade”. Una vibrazione che porta il genere d’origine degli Hüsker, l’hardcore punk, in una dimensione diversa. È la spinta innovatrice che nasce dalle eresie, dalla sfida all’ortodossia. Chi l’ha detto che le canzoni devono essere tirate incendiarie di quaranta secondi-un minuto? Che si tratta solo di un fatto di testosterone?

In questo album il terzetto dà più spazio che mai alle emozioni, agli stati d’animo (“Something I Learned Today”, “Chartered Trips”, “Pink Turns to Blue”), ha l’ardire di inserire una ballata acustica (“Never Talking to You Again”), una traversata lisergica (“Hare Krishna”) e una lunga improvvisazione (la finale “Reoccurring Dreams”). In più - sacrilegio di tutti i sacrilegi! - sceglie la formula del concept, lontana anni luce da quegli ambienti, dove era ritenuta roba da relitti di un pomposo e autocelebrativo passato. Un doppio album, per giunta, che narra dell’allucinato viaggio di Zen, un ragazzo che scappa di casa e vive una serie di traversie per poi risvegliarsi e scoprire che si è trattato solo di un sogno.

Come ogni “discone” che si rispetti, anche “Zen Arcade” ha tante storie collegate alla sua genesi. Per scoprirle, suggerisco di ascoltare il pezzo di Dj Monnezza incorporato in questo articolo.

Nel disco successivo, “New Day Rising”, il trio metterà a punto la sua formula grazie a una serie di brani diretti con punte di elevata potabilità. Così come altri colleghi di quel periodo (R.E.M., Sonic Youth, Replacements), anche gli Hüsker firmeranno con una grande etichetta. Per Warner uscirà “Warehouse: Songs and Stories”, un altro doppio album, un’altra conferma del riuscitissimo equilibrio rumore-muscolo cardiaco cifra del trio. Siamo nel 1987: la band si scioglie, da lì le carriere di Mould e Hart prenderanno nuove e interessanti strade. Norton si dedicherà alla ristorazione ma non appenderà mai davvero il basso al proverbiale chiodo.

Con i loro lavori, gli Hüsker Dü hanno aiutato a formare le schiere di musicisti del decennio successivo, dalla prima ondata emo fino agli idoli del “nuovo” rock anni Novanta. Per dire, Dave Grohl si è ispirato molto a loro nella scrittura dei dischi dei suoi Foo Fighters e i Green Day ne riconoscono l’influenza sulla loro carriera.

Impatto del punk e dolcezza del pop combinate al tumulto dei moti interiori, l’alternanza fra tensione e rilascio che invece di spaccare le orecchie fa a brandelli il cuore. E alla fine ne vuoi ancora. A distanza di quarant’anni, rimbombano così le vicissitudini oniriche di quel ragazzo di nome Zen.

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